GECE 2024. Il romanzo familiare dell’identità fra Torà e Midrash

di Ludovica Iacovacci
“La dinamica complessa che c’è fra testo della Torah e Midrash è forse l’aspetto più caratteristico dell’autonomia della cultura ebraica”, così Ugo Volli inizia la relazione “Romanzo familiare dell’identità, tra Torah e Midrash”, tenuta insieme a David Piazza in occasione della Giornata Europea della Cultura Ebraica 2024 svoltasi al Teatro Parenti di Milano. “Pensiamo che la Giornata della Cultura Ebraica debba presentare dinamiche proprie. Quello che vogliamo dimostrarvi sono alcuni esempi del ruolo del Midrash. Abbiamo visto che la Torah è un insieme di romanzi familiari che si susseguono, Midrash è commento e qui vogliamo evidenziare il suo arricchimento” introduce Ugo Volli.

Continua David Piazza: “Il Midrash non è un’interpretazione successiva del testo. Secondo la tradizione ebraica esiste una Torah scritta e una orale, che è stata promulgata contemporaneamente a quella scritta, inizialmente tramandata oralmente e successivamente messa per iscritto. Il Midrash affronta le difficoltà del testo scritto, che in alcune parti è stringato – dell’infanzia di Mosè non sappiamo quasi nulla – mentre alcuni dettagli tecnici come la descrizione della costruzione del tabernacolo sono approfonditi. Il Midrash riesce a colmare alcuni dei vuoti creando collegamenti tra testi diversi e dandoci alcune interpretazioni”, spiega il relatore. “Il midrash è un’attività, un modo di conoscere e insegnare, più che un’opera. In tutti questi testi c’è una pluralità dialogica che in certe condizioni è tutta legittima” spiega Volli. Alle spalle dei relatori si legge la slide che elenca le principali raccolte di midrashim (II sec. – XIV sec.) [Mekhiltà, Sifrà, Sifrè, Midrash Rabbà, Tanchumà, Zohar, Yalkut Shim’onì] mentre David Piazza afferma: “Tutte insieme queste opere concorrono all’esegesi ebraica dei testi”.

Successivamente entra nel vivo dell’argomento: “Abbiamo scelto di concentrarci su due momenti particolari, uno nella Genesi riguardo al contrasto tra Giacobbe e Esaù e poi sulla figura della figlia del Faraone”.

Mosè e la figlia del Faraone

Prendendo in esame Esodo 2,5 -10 David Piazza evidenza quante volte sia ripetuta una l’espressione “figlia del Faraone”. Spiega Piazza: “Ci si è interrogati sul perché si ripeta così tanto questo soggetto, che inizialmente non ha un nome. Secondo il Faraone tutti i bambini ebrei dovevano essere messi a morte perché era stato predetto che da questi sarebbe potuto nascere colui che avrebbe potuto minacciare la monarchia. La figlia del faraone mentre faceva il bagno nel fiume trovò una cesta che conteneva un bimbo e lo portò al palazzo reale. La sorella di Mosè chiamerà ad allattare la madre biologica di questo bambino”. Piazza spiega come il Midrash riesca ad interpretare il testo scritto attribuendogli un significato diverso rispetto alla precisa forma letterale. Quando il testo recita che la figlia del faraone “scese a lavarsi” il significato sarebbe “scese a purificarsi”.

David Piazza spiega che il midrash dice che la figlia del faraone scese a purificarsi dall’idolatria del padre. Il “camminava” significherebbe “andare a morire” poiché ribellarsi al faraone poteva comportare la morte. Il “Vide la cesta” equivarrebbe al “Maestà, i decreti del Re vanno rispettati, a maggior ragione quelli del padre”. Il mandare un’ancella significherebbe allungare il braccio per prendere la cesta. “Tutto il testo biblico parla molto spesso per metafore. Allungare il braccio significa fare una determinata azione. C’è una vera e propria volontà di salvare quel bimbo, la figlia del faraone capisce che il decreto del padre è pericoloso”, spiega Piazza, mentre aggiunge Volli: “C’è il tentativo di esprimere in forma figurata dei pensieri. La natura è quella di andare ad esplorare il pensiero”.

Infine David Piazza conclude il tema concentrandosi sul nome di Mosè e sul fatto che fu la figlia del faraone a dargli proprio questo nome: “Lo chiamò Mosè. Tutti i personaggi biblici hanno nomi che cambiano, come le loro vite. La figlia del faraone lo chiama Mosè, cioè lui porta il nome che gli ha dato proprio lei. Ci sono commentatori che scrivono che Mosè fosse una parola che significasse “tirato fuori dalle acque”. Anche secondo il testo c’è un senso eterno di riconoscimento verso molti non ebrei che hanno contribuito alla salvezza del popolo ebraico”.

Il passo successivo analizzato è tratto dal Libro delle Cronache che i maestri collegheranno tra testi apparentemente senza collegamento. Il Libro delle cronache è l’ultimo del Tanak. 1 Cronache 4,18 recita: “E sua moglie Yehudiyà generò Yered padre di Gedor. Heber padre di Soco e Yekhutiel padre di Zanoah. Questi erano i figli di Bityà, figlia del Faraone, che Mered sposò”. David Piazza fa notare che alla figlia del faraone viene dato un nome: Bityà, chiamata Yehudiyà, Giudea, perché rifiutò l’idolatria. “Bisogna distinguere famiglia di sangue e famiglia di progetto. La famiglia ebraica non è solo chi nasce da madre ebrea o si è convertito, ma chi porta avanti il progetto di famiglia ebraica. La figlia del faraone sposa Mered, che proprio secondo il Midrash è Kalev, colui che insieme a Giosuè disse che si poteva entrare nella terra d’Israele e che con l’aiutò di Dio ci sarebbero riusciti. Furono gli unici due tra gli esploratori inviati da Mosé a dire che sarebbe stato possibile entrare nella terra d’Israele, quindi Kalev è colui che va contro anche quello che pensa la maggioranza del popolo ebraico”.

Ugo Volli nota: “C’è un completo rovesciamento della cronologica, Kalev è colui incaricato da Mosè per fare l’esploratore, mentre qui lo troviamo come marito, secondo un ordine non cronologico”. Piazza: “Il midrash ha la caratteristica di dimostrare che la figlia del faraone riesce a ribellarsi, anche contro il padre. Dell’obbligo di dover rispettare il padre e la madre e i sabati, la figlia rappresenta la capacità di ribellione. Secondo il midrash la figlia del faraone sposa Kalev, la famiglia ebraica è tenuta a portare avanti un progetto. Secondo il midrash è madre chi trasmette l’educazione e nel caso di Mosè non è citata la madre biologica. Si tiene conto che c’è un altro ordine di interessi. Chi trasmette i valori a Mosè è la figlia del faraone, una non ebrea che poi sceglie di abbracciare il popolo ebraico e di convertirsi”. Ugo Volli sottolunea come ciò serva a stabilire un insegnamento, di tipo etico o sociale. Ciò che viene fuori non è una conseguenza narrativa ma il messaggio è quello di trarne una deduzione che ha una natura etica”.

Esaù e Giacobbe nel Midrash

Infine, i due relatori svolgono la seconda parte del loro intervento incentrandolo sulle figure di Esaù e Giacobbe, due gemelli figli di Isacco che hanno avuto la stessa educazione.

Ugo Volli spiega che secondo il midrash all’inizio i gemelli erano indistinguibili, come il mirto da un cespuglio spinoso, eppure fin dal ventre la madre sentiva che qualcosa non andava poiché i feti si agitavano. Quest’agitazione viene attribuita a due eventi: il primo era quando Esaù si agitava poiché la madre passava vicino a un sacrificio idolatra mentre Giacobbe voleva uscire quando c’era una preghiera ebraica; il secondo è che in questi combattimenti c’erano degli assistenti. Esaù viene aiutato da Samael, un angelo non positivo, mentre Giacobbe viene aiutato da Michael, angelo d’Israele. Fin dalla nascita i gemelli discutono su come dividersi il mondo; Giacobbe vuole il mondo futuro, Esaù quello presente. C’è un problema su chi sia il primogenito. Il Midrash dice che chi esce per primo è Esaù ma quando qualcuno mette in una bottiglia alcune cose, queste che escono per prime sono quelle che sono state inserite per ultime, quindi c’è rivendicazione di questa primogenitura.

Ugo Volli sottolinea come i due gemelli dai quindici anni in poi diventino diversi: Giacobbe studia in una “Yeshivà ante litteream” mentre Esaù si comporta male, ruba, stupra e uccide. Finché Abramo è vivo, Esaù nasconderà la sua indole aggressiva. Esaù uccide il suo arcinemico Nimrod, un grande cacciatore, e si troverà costretto a scappare motivo per cui avrà molta fame e venderà la sua primogenitura, che disprezza.

David Piazza spiega: “Questo racconto ci dice come i maestri considerano il mondo, appartenente ad un popolo spesso cacciato e che non si è espresso in maniera autonoma. Esaù rappresenta le pressioni del mondo che opprimono il popolo ebraico”. Ugo Volli aggiunge: “Il midrash vuole mostrarci che le azioni hanno conseguenze e che le vicissitudini derivano da azioni precedenti. La Torah parla di fatti in maniera quasi atomica ed è eticamente giusto che certe azioni accadono. Queste sono storie straordinarie, sono storie fantastiche.”
Piazza conclude il suo intervento spiegando l’ossessione per le primogeniture: “In tutta la Genesi il primogenito è il fil rouge che accompagna le storie, ha un’importanza notevole, nei tempi antichi aveva il compito di portare avanti la famiglia, non solo dal punto di vista economico ma anche di progetto. In tutta la Genesi c’è una negazione assoluta di questa primogenitura, il primogenito è chi merita di portare avanti il progetto. Ruben non lo porterà avanti, ma sarà Giuda a dare vita all’inizio della stirpe messianica. Primogenito non è un dato biologico o un dato fisico e Dio sceglie il popolo ebraico per portare avanti le sue leggi. Gli egiziani mettevano a morte i bambini, gli ebrei non lo fanno. Dopo il vitello d’oro viene creata una casta sacerdotale – che forse non era prevista dall’inizio perché all’inizio era il primo genito che doveva portare avanti il progetto. Così si creano i sacerdoti, dei professionisti della religione”.

Conclude anche Ugo Volli: “La famiglia è anomala perché Isacco, Davide, Giacobbe non sono primogeniti. Nessuno di loro è colui che dovrebbe ereditare il titolo secondo le norme della primogenitura, pertanto è un’anomalia”.