Da sinistra Roberto Zadik, Luca Barbareschi e Niram Ferretti

GECE 2024. Rivoluzione e istituzione: la famiglia ebraica e il cinema

di Esterina Dana
“Quand’ero piccolo i miei genitori hanno cambiato casa una decina di volte. Ma io sono sempre riuscito a trovarli”. Con questa caustica ed esilarante battuta di Woody Allen, Roberto Zadik (a sinistra nella foto) introduce il tema della famiglia ebraica caro a questo attore e regista scomodo e corrosivo. Pessimista e ateo, si fa portavoce dei danni prodotti dalle famiglie disfunzionali (come la sua), durante la mattinata della Giornata Europea della Cultura Ebraica al Teatro Franco Parenti.

Se si pensa che di famiglia poco si parlava nel cinema, tantomeno di quella ebraica, e che il film “L’uomo del banco dei pegni” (1964) di Sidney Lumet, è stata la prima produzione cinematografica interamente prodotta negli Stati Uniti a trattare il tema dell’Olocausto dal punto di vista di un ebreo sopravvissuto allo sterminio, quella di Woody Allen è stata un’operazione rivoluzionaria, come l’introduzione di una tradizione satirica ed esistenziale sull’argomento.

Attraverso una serie di clip, Zadik ci conduce ad alcuni momenti topici dell’immaginario cinematografico trasgressivo di  Woody Allen.

In Hannah e le sue sorelle (1986) affronta il tema dell’assimilazione in un’accezione tragicomica: è la presa in giro della crisi religiosa ed esistenziale del protagonista, il quale comunica alla sua sulfurea e litigiosa famiglia (ebraica) una conversione al cattolicesimo.

Radio Days (1987) ritrae ironicamente la vita delle famiglie statunitensi durante gli anni d’oro della radio, dove la famiglia è ormai diventata il soggetto dominante nel cinema.

In Crimini e misfatti (1989)  si tratta di una crisi coniugale e familiare.  Una cena di Pesach; due famiglie a confronto, una di successo e una di insuccesso; un omicidio da cui scaturisce una domanda: chi può dire cosa sia bene e che cosa sia male senza una guida trascendente a indicarci la via?

Niram Ferretti (a destra nella foto) dialoga con il regista attore e produttore Luca Barbareschi (al centro), interprete e produttore del film The Penitent (2023). Tratto da un dramma di David Mamet,  è la storia di uno psichiatra, Carlos Hirsh, ancorato alle sue radici ebraiche, che vede deragliare la sua carriera e la sua vita privata dopo essersi rifiutato di testimoniare a favore di un ex paziente violento ed instabile che ha causato la morte di diverse persone. La gogna mediatica e l’accanimento del sistema giudiziario si sommano al dilemma morale del professionista.

Luca Barbareschi sottolinea il dramma di trovarsi “sbattuto in prima pagina”, che mette in discussione il senso stesso dell’identità, oggigiorno considerata negativa. Lui ebreo, sposato con una non ebrea, sei figli e sempre più legato all’ebraismo, sottolinea la difficoltà di rispettare le regole, che viene compensata da uno studio continuo.

Alla domanda di Roberto Zadik riguardo al suo avvicinamento all’ebraismo risponde: a New York, dove ha scoperto scrittori ebrei quali Potok e Singer e ha capito la nostra storia; soprattutto la lettura di Jonathan Sacks che permette una crescita spirituale. L’appiattimento culturale e morale attuale, conclude, è dilagante; il teatro è l’ultimo luogo di salvezza per permettere ai giovani di essere curiosi.