A un anno dal conflitto cresce il dissenso tra i palestinesi di Gaza

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di Redazione
«Abbiamo perso tutto, per cosa»? È il grido pieno di rabbia tra i residenti di Gaza, sempre più frustrati nei confronti di Hamas mentre il conflitto sembra non avere tregua. Dopo mesi di devastazione e isolamento, molti palestinesi iniziano a sentirsi abbandonati dai propri leader. Per troppi mesi la paura ha impedito a molti di loro di esprimere apertamente le proprie opinioni, ma ora, la consapevolezza della dura realtà sta emergendo.

Le scelte fatte da Hamas e Fatah, senza il coinvolgimento della popolazione, hanno avuto conseguenze sconvolgenti, aggravando la situazione e peggiorando la vita quotidiana rispetto al passato, lasciando Gaza in una situazione sempre più critica.

In un articolo di Reuters, si narra la storia di Samira, una madre di due figli che sospira ricordando con nostalgia la vita che aveva come insegnante di arabo, con una casa confortevole e una routine quotidiana. Ora, dopo l’attacco di Hamas a Israele avvenuto un anno fa, Gaza è caduta in un incubo di sofferenza e caos.

«Nonostante tutte le difficoltà la nostra vita andava bene. Avevamo un lavoro, una casa e una comunità», confida Samira, che ha preferito non rivelare il suo cognome per paura di ritorsioni.

La voce della donna si unisce così a un numero crescente di residenti che si chiedono se il prezzo pagato per l’assalto di Hamas del 7 ottobre sia stato eccessivo e molti si chiedono il senso di quanto accaduto rimpiangendo il passato. L’offensiva dell’IDF che ha fatto seguito all’attentato ha raso al suolo Gaza, uccidendo decine di migliaia di persone e costringendo più di un milione di palestinesi a fuggire dalle proprie abitazioni lasciando averi.

Samira descrive Israele come «il nostro principale nemico, la fonte di tutti i nostri mali», ma non risparmia critiche al leader di Hamas, Yahya Sinwar, accusato di aver fatto un grave errore di calcolo. Sinwar, alla guida del movimento dal 2017, è ora il bersaglio di una caccia all’uomo. Fonti vicine a lui lo descrivono come un leader determinato, ma cauto, capace di comprendere le difficoltà quotidiane della popolazione. Tuttavia, un articolo pubblicato da Israele.net suggerisce che Sinwar potrebbe essere più interessato a rafforzare la potenza militare di Hamas che a preoccuparsi del benessere degli abitanti di Gaza.

Un documento, visionato dal quotidiano tedesco Bild, trovato nel suo computer, indica tattiche per manipolare l’opinione pubblica mondiale, incolpare Israele e utilizzare la tortura psicologica sulle famiglie degli ostaggi.  «Cosa stava pensando? Non si aspettava che Israele avrebbe distrutto Gaza?», si chiede ancora Samira.

In conversazioni con numerosi residenti di Gaza, emerge una situazione complessa: alcuni considerano Hamas un eroe per l’attacco del 7 ottobre, quando i militanti palestinesi hanno organizzato un raid senza precedenti in Israele, ma altri avvertono che le conseguenze delle azioni del gruppo hanno portato a una devastazione inaccettabile.

Sinwar, 62 anni, non è stato visto in pubblico dal raid, in cui sono morte circa 1.200 persone e altre 251 sono state rapite. Vive per lo più nell’ombra, nascosto nella rete di tunnel sotto Gaza, persuaso che la lotta armata e la violenza sia l’unico modo per ottenere uno Stato palestinese. Hamas sostiene che l’attacco del 7 ottobre, il più mortale nella storia di Israele, rappresenti una svolta nella lotta per la nazionalità palestinese, che negli ultimi anni è stata trascurata.

Tuttavia, i dati sono devastanti. Un recente sondaggio del Palestinian Center for Policy and Survey Research (PSR) a Ramallah e finanziato da donatori occidentali, ha mostrato per la prima volta che la maggioranza degli abitanti di Gaza si era opposta alla decisione di Hamas di attaccare. Il 57% delle persone intervistate ha dichiarato che l’offensiva era errata, in netto calo rispetto al 39% di coloro che la consideravano giusta lo scorso giugno.

Nonostante le repressioni di dissenso che Hamas ha spesso attuato, si sono verificate alcune rare manifestazioni pubbliche di malcontento. Ahmed Youssef Saleh, ex funzionario di Hamas, ha sollevato interrogativi su Facebook, chiedendo se qualcuno avesse considerato le conseguenze prima di lanciare un attacco che avrebbe portato a un’invasione israeliana. Dall’agosto scorso, i segnali di dissenso sono di fatto aumentati.

Ameen Abed, un attivista che ha criticato l’attacco del 7 ottobre, è stato picchiato da uomini mascherati e ha dovuto essere ricoverato. Suo padre ha usato un megafono per accusare Hamas dell’attacco nel campo profughi di Jabalia. In risposta, Sami Abu Zuhri, un alto funzionario di Hamas, ha minimizzato tali critiche, definendole «osservazioni limitate» che derivano dal dolore della popolazione. «Non avevamo altra scelta che lanciare questa grande battaglia, a prescindere dal costo, perché la causa palestinese stava per finire a causa della crescente aggressione e dei crimini israeliani contro il nostro popolo e i nostri luoghi sacri», ha affermato.

Il dissenso emerge come un elemento cruciale per Hamas, che cerca di mantenere la sua influenza a Gaza anche dopo la guerra, nonostante le affermazioni di Israele e degli Stati Uniti che il gruppo non potrà avere alcun ruolo nel governo della Striscia.

Ashraf Abouelhoul, caporedattore del quotidiano egiziano Al-Ahram, osserva che la situazione interna di Gaza cambierà se la popolazione si renderà conto che la vita è diventata insostenibile. Tuttavia, l’Iran potrebbe voler mantenere un ruolo per Hamas nel contesto di un conflitto regionale più ampio.

I palestinesi attribuiscono a Israele la loro miseria economica e l’espansione degli insediamenti in Cisgiordania, vedendo l’attacco del 7 ottobre come una risposta all’occupazione di lunga data, piuttosto che a specifiche azioni israeliane. Mahmoud, un giovane sfollato di Gaza City, critica le Nazioni Unite e le potenze occidentali per non aver sostenuto le aspirazioni palestinesi a uno Stato. Le prospettive per una soluzione a due Stati appaiono sempre più distanti. Un recente sondaggio ha mostrato  comunque un calo nel supporto per Hamas, con più abitanti di Gaza che preferiscono l’Autorità Nazionale Palestinese al governo di Hamas dopo la guerra. Khalil Shikaki, direttore del PSR, afferma che «per la prima volta, più abitanti di Gaza desiderano che l’Autorità Nazionale Palestinese, e non Hamas, governi la Striscia dopo la guerra». Anche in Cisgiordania, il consenso per l’attacco è diminuito, nonostante quasi due terzi degli intervistati credano ancora nella sua giustezza. Tuttavia, la vera misura del supporto per Hamas a Gaza non potrà essere valutata fino alla fine del conflitto.