Perché l’Italia non ha mai voluto fare i conti con la Shoah e con il Fascismo?

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di Michael Soncin

“In Italia sino al 25 luglio c’erano 45 milioni di fascisti; dal giorno dopo, 45 milioni di antifascisti. Ma non mi risulta che l’Italia abbia 90 milioni di abitanti”. Parola di Winston Churchill

Opportunismo? Timore? Strategia o comodità? Nessuna ipotesi è esclusa. Quando oggi sentiamo l’ormai logorata frase “l’Italia non ha ancora fatto i conti con la Shoah” e con la pesante eredità lasciata dal regime del Ventennio fascista, si percepisce sempre un senso di vuoto, di smarrimento, come se qualcosa fosse stato rimosso dalla nostra memoria collettiva.

LA STORIA CON RIMOZIONI NON È STORIA
Più di qualcuno, a bassa voce, nella propria coscienza si sarà fatto la domanda: “Ma come? In che senso? Sappiamo cos’è successo, la storia l’abbiamo studiata”. Sì, ma per rimozioni, perché così è stato: quei conti non sono mai stati fatti davvero. A ricordarcelo è Gianni Oliva, docente di storia delle istituzioni militari, esperto del periodo 1940-45, nel saggio 45 milioni di antifascisti (Mondadori).
Eppure, già a quell’epoca c’è chi ha fotografato la realtà di quel tempo: “In Italia sino al 25 luglio c’erano 45 milioni di fascisti; dal giorno dopo, 45 milioni di antifascisti. Ma non mi risulta che l’Italia abbia 90 milioni di abitanti”. La frase, attribuita a Winston Churchill, rende benissimo l’idea del camaleontico atteggiamento degli italiani. Dell’abile trasformismo ne ha dato testimonianza anche lo scrittore Mario Tobino (1910-1991) nel romanzo Il clandestino, dove ricorda gli abitanti di Viareggio quando si riversarono nelle strade dopo la caduta di Benito Mussolini: “Ciascuno ammiccava furbescamente all’altro cittadino che lui era sempre stato antifascista. […] La città aveva scoperto di essere sempre stata antifascista senza che nessuno se ne fosse mai accorto”. L’epurazione mancata, come documentano numerose vicende, ha interessato sia il comune cittadino, sia chi ha ricoperto le più importanti funzioni e cariche all’interno dell’apparato statale.

IL QUESTORE DI MILANO,
IMPOSTORE MORALE
Il caso più eclatante e conosciuto riguarda Gaetano Azzariti, magistrato e giurista, responsabile di tutta la legislazione fascista. È davvero incredibile pensare che costui, da presidente del Tribunale della Razza nel 1938, in carica fino al giorno stesso della caduta del fascismo, diventò pochi anni dopo addirittura presidente della Corte Costituzionale. E Azzariti fu solo uno dei tanti. Infatti, il forte clamore della sua vicenda non deve offuscare altri stupefacenti casi. Quando una nube nera avvolge Milano con la bomba a piazza Fontana è il dicembre 1969; Marcello Guida è il questore di Milano. A ricordargli il suo deplorevole passato è il presidente della Repubblica, Sandro Pertini, allora presidente della Camera, che ai funerali delle vittime dell’attentato si rifiutò, senza tanti formalismi, di stringergli la mano. In seguito, si verrà a sapere che tra il 1941e il 1943 Guida era stato il direttore del carcere di confino politico di Ventotene. In quella prigione, dietro le sbarre, rinchiuso dal regime assieme agli altri oppositori c’era anche Pertini. Un paradosso che non può che suscitare un sentimento d’indignazione, che il tempo non può cancellare, anche ottant’anni dopo.

CHI HA FATTO I CONTI… E CHI NO
All’opposto, prendendo in esame la Francia, si contano 170.000 processi per collaborazionismo, 7000 condanne a morte, di cui numerosissime, fortunatamente per dovere etico, tramutate in ergastolo, 28.000 funzionari pubblici rimossi dalla carriera. Conti fatti anche da Norvegia, Belgio e Olanda. In Italia si è preferito non solo far credere che la guerra è stata vinta, ma per farlo è stata utilizzata la Resistenza, un’operazione valorosa di pochi, anche per mano di diversi ebrei, per rivestire la collettività italiana di gesta a cui non hanno mai partecipato, facendoli loro, quando in verità, non solo non erano attori, e nemmeno spettatori, ma antagonisti verso i valori dell’antifascismo.

 

UN’OPPORTUNITÀ MANCATA?
Imputare quindi le colpe esclusivamente a Mussolini o a Vittorio Emanuele III è un errore, perché quel consenso si è costruito attivamente. Ci sarà forse un motivo per cui oggi il fascismo continua a riemergere? È da ricercarsi lì, in quegli scheletri nascosti dietro il paravento dei partigiani, sbandierato come se tutti gli italiani, indistintamente, avessero aderito alla Resistenza? Se questo riciclo negli organi amministrativi è stato fatto senza soluzione di continuità, perché, come si dice, “sostituti non c’erano”, doverosa invece sarebbe stata almeno una riflessione. Leggendo Oliva, viene da chiedersi se la decisione dell’Italia, nel 2000, di istituire il Giorno della Memoria il 27 gennaio, data della liberazione di Auschwitz, sia stata frutto di una rimozione, per cancellare il 16 ottobre 1943, giorno della deportazione degli ebrei romani, una data molto più “italiana”, un’opportunità per ricordarla. Dalle pagine di questo libro usciamo con maggiore consapevolezza del fenomeno.

Gianni Oliva, 45 milioni di antifascisti,
Il voltafaccia di una nazione che non ha fatto i conti con il ventennio, Mondadori, pp. 228, euro 21,00.