di Redazione
Giornata di sangue e paura nel nord di Israele. In uno degli attacchi più devastanti degli ultimi mesi, missili lanciati dal Libano dal gruppo Hezbollah hanno ucciso sette persone e ferito altre tre nelle zone di Metula e Haifa. È stato un giorno segnato dal dolore e dal timore di un conflitto senza fine, raccontato nei dettagli dal Times of Israel.
A scatenare questa nuova ondata di terrore è stato un razzo che, in tarda mattinata, ha colpito un frutteto di mele alla periferia di Metula, una cittadina di confine. Cinque lavoratori, intenti nella raccolta, sono stati colpiti in pieno e non hanno avuto scampo. Tra le vittime, si è scoperto, c’era un cittadino israeliano, mentre gli altri erano stranieri, tutti braccianti stagionali. Un altro lavoratore è rimasto gravemente ferito, e le speranze per lui sembrano poche.
Ma il bilancio non si è fermato lì. Poche ore dopo, Hezbollah ha colpito di nuovo, lanciando un’ulteriore raffica di razzi verso il nord, puntando verso la zona di Haifa. In un campo aperto nei pressi di Kiryat Ata, altre due persone sono state uccise, una donna di circa sessant’anni e un uomo sulla trentina sono stati uccisi dalle schegge. Sul luogo è stato soccorso anche un uomo anziano, con ferite lievi. Le sirene hanno risuonato nelle comunità circostanti, riportando i residenti a uno stato di allerta che, giorno dopo giorno, sta diventando la norma.
In meno di 24 ore, Hezbollah ha lanciato circa 60 razzi e droni verso il nord di Israele, secondo quanto dichiarato dall’esercito israeliano (IDF). Alcuni sono stati intercettati dai sistemi di difesa aerea, ma molti sono riusciti a raggiungere le aree aperte, rendendo questa giornata una delle più mortali dell’ultimo anno lungo il confine nord.
Questa escalation senza tregua sta provocando forti reazioni. Il capo del consiglio locale di Metula, David Azoulay, ha rivolto parole amare alle autorità nazionali, accusandole di aver «normalizzato il pericolo» per il nord. «Ogni allarme, ogni missile che cade, rende i cittadini qui più isolati e abbandonati». A Karmiel e in altre comunità della Galilea, intanto, le sirene d’allarme non smettono di suonare.
Parallelamente, le forze israeliane stanno colpendo duramente Hezbollah in Libano. Già ieri, l’IDF ha ordinato l’evacuazione di Baalbek e delle aree circostanti per prepararsi a colpire le infrastrutture e i depositi di carburante del gruppo sciita. Decine di abitanti si sono riversati sulle strade in fuga dalle loro case, mentre colonne di fumo nero si alzavano da Douris, teatro di uno degli attacchi aerei di queste ultime ore. Jean Fakhry, un funzionario locale della vicina Deir al-Ahmar, ha dichiarato che la cittadina non riesce a ospitare tutti i nuovi sfollati. «È insostenibile», ha detto, raccontando come molti rifugiati abbiano dovuto passare la notte in auto, senza alcun riparo sicuro. L’uccisione di sei operatori sanitari libanesi e il ferimento di altri quattro in tre distinti attacchi nel sud del Libano giovedì hanno portato il bilancio totale degli operatori sanitari uccisi e feriti in oltre un anno di attacchi israeliani rispettivamente a 178 e 279, ha affermato il ministero della Salute libanese.
Le operazioni di Israele, intanto, si stanno intensificando. Secondo l’IDF, Muhammad Khalil Alian, un comandante di Hezbollah, è stato ucciso durante un raid nella zona di Burj Qallawiyah. Era uno dei responsabili degli attacchi contro Israele e, secondo quanto riferito dalle forze israeliane, il raid è solo uno dei tanti tentativi di ridurre il numero di lanci di missili dal Libano. Sempre oggi, un attacco con un drone israeliano ha preso di mira e distrutto una cellula di Hezbollah, appena dopo che questa aveva tentato di colpire un drone dell’aviazione israeliana.
Ma il conflitto che si sta svolgendo sulle alture del Golan e lungo il confine con il Libano ha un risvolto diplomatico altrettanto intenso. In Israele sono arrivati due importanti mediatori statunitensi, Amos Hochstein e Brett McGurk, incaricati di sondare le possibilità di un accordo che possa fermare le violenze. Il premier Benjamin Netanyahu, però, non sembra voler fare concessioni senza garanzie di sicurezza. «Non è il pezzo di carta che conta – ha detto – ma la capacità di Israele di far rispettare l’accordo e proteggere i suoi confini».
In questo contesto, il governo israeliano sembra orientato a chiedere un rafforzamento della risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che impone il ritiro delle forze di Hezbollah a nord del fiume Litani. Ma Israele, sostengono fonti vicine al governo, vuole anche la libertà di agire nel caso il gruppo libanese violi l’accordo.
Per i residenti del nord di Israele, però, i discorsi e i negoziati sono poca cosa rispetto alla realtà di ogni giorno. Oltre 60.000 persone sono state evacuate dalle zone di confine in seguito agli attacchi sempre più frequenti. E mentre The Times of Israel fa notare come anche nelle città si avverta una crescente tensione, chi ha vissuto questa giornata di paura spera solo in un domani più sicuro.
Gli scontri e le perdite continuano. Dall’inizio degli attacchi di Hezbollah, lo scorso ottobre, 39 civili israeliani hanno perso la vita, insieme a 61 tra soldati e riservisti dell’IDF. Sul fronte libanese, oltre 2.000 combattenti di Hezbollah sarebbero stati uccisi, secondo stime israeliane. Ma il clima che si respira in tutto il Paese racconta un conflitto che, giorno dopo giorno, sembra sempre più difficile da fermare.
(Foto: da Times of Israel. Ayal Margolin/Flash90)