Donald Trump (Foto Gage Skidmore)

La vittoria di Trump e le reazioni nel mondo ebraico e in Israele

Mondo

di Marina Gersony
La vittoria di Donald Trump nelle elezioni presidenziali americane ha suscitato forti reazioni sia nella comunità ebraica negli Stati Uniti, sia nella diaspora, sia in Israele. La sua amministrazione ha intrapreso una serie di politiche filo-israeliane che hanno trovato il sostegno di diversi gruppi, soprattutto in Israele, ma che hanno anche alimentato accese discussioni e divisioni tra ebrei americani di varie tendenze politiche.

Reazioni in Israele: entusiasmo per un alleato forte

In Israele, l’elezione di Trump è stata accolta con entusiasmo in contesti diversi. Benjamin Netanyahu si è congratulato con il neo-presidente e ha descritto il suo ritorno come «un nuovo inizio per la grande alleanza tra Israele e America». Anche altri esponenti del governo, come il ministro della Difesa Israel Katz e il ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir, hanno accolto la notizia con visibile entusiasmo, descrivendo la vittoria di Trump come un’opportunità per rafforzare i legami strategici e per intensificare la lotta contro l’Iran e i nemici storici di Israele.

Le politiche e il supporto dichiarato più volte per Israele dal neo presidente hanno generato un senso di gratitudine e sicurezza tra gli israeliani, soprattutto per decisioni come il trasferimento dell’ambasciata USA a Gerusalemme e il riconoscimento della sovranità israeliana sulle Alture del Golan. In breve, la leadership politica israeliana, inclusi molti esponenti di destra, ha visto Trump come un leader pronto a rafforzare il legame bilaterale, sostenendo politiche che rispecchiano interessi nazionali. Secondo i sondaggi dei giorni scorsi condotti poco prima delle elezioni pubblicati dal Times of Israel, gli israeliani hanno preferito Trump alla Harris in modo schiacciante.

Israele si aspetta dunque una rinnovata libertà d’azione nel conflitto contro Hamas e nella gestione dei rapporti con i palestinesi. Trump ha già dichiarato che, sebbene desideri una rapida fine delle ostilità a Gaza, intende offrire a Israele il margine di manovra necessario per raggiungere i suoi obiettivi strategici. Questa promessa rappresenta una discontinuità rispetto all’approccio dell’amministrazione Biden, che, pur sostenendo Israele, aveva sollecitato una maggiore attenzione per la crisi umanitaria nella Striscia di Gaza e per una de-escalation.

Reazioni nella comunità ebraica americana: divisioni e dubbi tra conservatori e progressisti

Negli Stati Uniti, le reazioni alla vittoria di Trump sono state diversificate complicando ulteriormente la già complessa identità ebraica transnazionale. La comunità ebraica americana comprende infatti un ampio spettro politico, con una gran parte che storicamente si identifica con valori progressisti. Molti di loro hanno espresso preoccupazione per la retorica e le posizioni di Trump, soprattutto riguardo a questioni di immigrazione e alla percezione di un aumento dei gruppi estremisti durante il suo mandato. Queste preoccupazioni sono state particolarmente rilevanti per alcuni leader ebraici che temono come il clima politico divisivo possa intensificare sentimenti antisemiti e tensioni sociali interne. E ha inquietato una stragrande maggioranza di ebrei che, come indicano i sondaggi, hanno votato per Kamala Harris.

D’altra parte, altri gruppi ebraici, soprattutto quelli di orientamento più conservatore, hanno apprezzato il sostegno di Trump a Israele e le sue politiche pro-israeliane. Organizzazioni come l’American Israel Public Affairs Committee (AIPAC) e altri gruppi filo-israeliani hanno accolto con favore le sue iniziative, come il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele, considerandole gesti simbolici importanti e passi avanti nella difesa degli interessi israeliani. Non ultima una parte della comunità ebraica ortodossa che ha mostrato sostegno a Trump, attirata, oltre dalle sue posizioni pro-Israele, anche dalla sua visita alla tomba del rabbino Menachem Mendel Schneerson, leader del movimento Chabad.

Questo contrasto evidenzia non solo una frattura tra gli ebrei negli Stati Uniti e quelli in Israele, ma solleva anche importanti interrogativi sul futuro della politica americana verso il Medio Oriente e sull’impatto di una presidenza Trump nel conflitto israelo-palestinese.

Percezioni contrastanti e le prospettive per il futuro

In breve, la vittoria di Trump ha portato a un’intensificazione del dibattito all’interno della comunità ebraica americana che si trova in una posizione delicata su quali siano le priorità strategiche e su come bilanciare il supporto a Israele con le preoccupazioni per la coesione sociale e per i valori democratici negli Stati Uniti. La reazione della comunità è stata quindi complessa, con molti che si sono interrogati sulla sostenibilità delle politiche di Trump nel lungo periodo e su come queste potrebbero influenzare l’immagine dell’ebraismo americano.

Spunti di riflessione: il futuro delle relazioni USA-Israele

La vittoria di Trump, così come l’approccio della sua amministrazione, solleva interrogativi cruciali per il futuro del Medio Oriente. Da un lato, Israele guadagna un alleato deciso e senza compromessi, che intende favorire l’espansione degli Accordi di Abramo e offrire sostegno nel contenere l’influenza iraniana nella regione. Dall’altro, il rischio è che questo sostegno incondizionato alimenti ulteriori tensioni e ostacoli le possibilità di pace e di risoluzione del conflitto con i palestinesi.

Come detto, anche la comunità ebraica americana si trova in una posizione delicata. Mentre Trump promette politiche che ridurrebbero le manifestazioni anti-Israele nei campus e rafforzerebbero la sicurezza degli studenti ebrei, le sue posizioni estreme, secondo alcuni osservatori, rischiano di isolare ulteriormente quella parte di ebrei americani che da sempre si riconosce nei valori progressisti e liberali. Resta la domanda: il distacco crescente tra gli ebrei israeliani e quelli americani è destinato ad aumentare, creando un’identità ebraica sempre più frammentata, oppure sarà possibile trovare un elemento di unità e di evoluzione nella grande e variegata comunità ebraica transnazionale?

Resta da vedere se l’approccio trumpiano sarà in grado di garantire la stabilità di cui Israele ha bisogno o se, al contrario, renderà ancora più complessa la situazione in una regione già martoriata da decenni di conflitti.

 

One people, one destiny

Tuttavia, al di là delle reazioni a caldo e contrastanti alla politica di Trump, merita una riflessione un aspetto di fondo per molti ebrei americani: l’attacco di Hamas a Israele del 7 ottobre 2023, che ha innescato un conflitto su più fronti, una nuova ondata di antisemitismo globale e un aumento dei sentimenti ostili verso Israele, ha avuto un impatto significativo sulla campagna elettorale. A prescindere dalle divisioni politiche, emerge come filo conduttore e un senso di appartenenza comune: l’idea di essere un unico popolo, legato da un destino condiviso – One people, one destiny – sia in Israele, sia negli Stati Uniti, sia nella diaspora. Questa identità collettiva e la profonda connessione tra ebrei restano centrali: un senso di unità che, pur silenzioso e a tratti contraddittorio, rappresenta un collante potente per un futuro di pace e di stabilità per Eretz Israel e per il mondo intero. Un legame che attraversa generazioni e circostanze storiche, mantenendo viva la visione di un destino comune che unisce le comunità ebraiche a livello globale sui grandi temi.

 

PER APPROFONDIRE

 

 

(Foto: Wikimedia commons. Autore: Gage Skidmore)