di Dani Mimun, Netanya
Le sirene suonavano in tutto il paese. Billa si era appena chiusa nella camera blindata e affannosamente sistemava le maschere antigas ai gemellini di tre anni, aiutata da Hod, di qualche anno più grande. Si trattava dell’ennesimo Scud, che Saddam Hussein lanciava contro il nostro paese, convinto comunque che Israele non avrebbe reagito.
Ogni sera la stessa cosa. Ma prima ancora che potessero uscire dal cosiddetto rifugio arrivava puntuale la telefonata di Franco, da Milano. Preoccupato, quasi angosciato, molto impensierito chiedeva se tutto fosse andato bene, se non ci fossero stati problemi di sorta, ma quando finirà questa guerra, ma Daniel non è ancora rientrato dalla riserva, ma come state, sai che vi penso sempre…
Questo era Franco, per noi. Era sempre presente qualunque cosa succedesse. Sempre attento, premuroso, sollecito. Quando veniva a sapere che sarei passato da Milano si dava subito da fare: se sei solo puoi stare a casa mia in via De Amicis, se viaggi con compagni di lavoro ti prenoto io l’albergo. Ancora negli anni Ottanta non era così facile noleggiare un’auto, guarda che ti lascio la mia macchina, non ci sono problemi…
Abbiamo cominciato ad essere amici quando avevamo undici anni, in quel paese a me così ostile e insopportabile, già a quell’età. Ci incontravamo e giocavamo con niente, poiché non c’era nessuna attrezzatura o organizzazione per tenere occupati i bambini. Dopo due o tre anni cominciammo ad andare a giocare a pallacanestro. Cioè lui, Franco, giocava. Scendeva elegantemente al canestro, una falcata da vero giocatore. In poco tempo diventò il capitano della squadra Pulcini, era veramente bravo. Io invece andavo agli allenamenti perché era l’unica cosa che c’era da fare ma non ho mai fatto una vera partita contro altre squadre.
Ci trascinammo così fino a diciott’anni, e insieme, senza però averlo concordato, negli stessi mesi lasciammo per sempre quella Tripoli che entrambi rimuovemmo in poco tempo dai nostri ricordi.
Franco arrivò a Milano e da lì non si è mai più mosso. Viaggiava dappertutto, per lavoro, in quegli anni, in Unione Sovietica, in Cina, dappertutto. In pochi anni avviò una attività con tenacia, ambizione e molto coraggio. Si integrò completamente a Milano. Molti anni dopo, quando lo incontravo, a volte scherzando gli dicevo che mi sarei aspettato che mi parlasse in milanese, oramai.
Mi manchi moltissimo, Franco. Te ne sei andato via troppo presto, drammaticamente, e ci hai lasciato tutti addolorati, vuoti, desolati.
Per noi, i tuoi amici, ci sei sempre per indicarci con attenzione la strada da seguire, come hai sempre fatto.