di Luciano Assin
“Jarra el kerib walla ahuk el baid” recita un proverbio arabo traducibile con “meglio un buon vicino di un fratello lontano”. Questo sunto di saggezza popolare è sufficiente a sintetizzare il problema degli arabi israeliani che costituiscono il 20% della popolazione del paese. Il “diario minimo” odierno si occuperà dunque di capire e analizzare la posizione di questa determinante e variegata minoranza con la quale ogni israeliano di fede ebraica ha, volente o nolente, un contatto quotidiano.
È importante capire che l’arabo israeliano vive in un perenne stato di schizofrenia. Da una parte ha e avrà sempre a cuore i problemi del popolo palestinese di cui anche lui è parte integrante, esattamente come ogni ebreo della diaspora dovrebbe avere a cuore il destino dei suoi fratelli israeliani. D’altra parte l’arabo israeliano fa ormai parte del tessuto sociale della nazione e la sua voglia di integrazione è molto maggiore di quello che si possa percepire all’estero.
Nel mio quotidiano incontro arabi in ogni settore: il mio medico di famiglia, il mio cardiologo, l’elettricista, il dentista, l’oculista, il giornalista televisivo, il comico e così fino all’infinito. Molti di questi professionisti parlano un ebraico molto migliore del mio e cantano le stesse canzonette che ascoltiamo dalle identiche stazioni radio. Nel corso degli ultimi decenni si è formata una cultura israeliana che è ormai permeata in tutti gli strati della popolazione.
In questo contesto l’arabo israeliano ha dato una grande prova di maturità decidendo di non partecipare in nessun modo al pogrom del 7 ottobre, né durante né dopo, sconvolgendo così i programmi di Hamas che speravano in una sommossa popolare da parte della minoranza araba. Cosa che invece era successa in modo spontaneo e inaspettato nell’ottobre del 2000 a ridosso dello scoppio della seconda intifada. In quell’occasione gli scontri furono molto violenti e si conclusero con la morte di 12 cittadini arabi nel corso dei disordini.
D’altra parte il numero di cittadini arabi coinvolti in un attentato nel corso di questo ultimo anno è cresciuto in maniera esponenziale, sono ancora cifre insignificanti nel loro insieme, stiamo parlando di qualche decina a fronte di quasi due milioni di persone, ma è una tendenza che va senz’altro seguita con attenzione.
Le priorità della minoranza araba, a prescindere dal conflitto in corso, sono legate principalmente alla sicurezza personale. La malavita in questo settore è dilagante e coinvolge tutti gli strati della popolazione. Può sembrare incredibile ma nella società araba gira un’enorme quantità di armi da fuoco e la polizia non è assolutamente in grado di estirpare il fenomeno o anche a malapena di limitarlo. La maggior parte delle case di normali cittadini è monitorata da una rete di telecamere a circuito chiuso per garantire la propria sicurezza. Questo porta però a delle situazioni paradossali: nel caso che avvenga un crimine registrato dalle telecamere in questione, è lo stesso proprietario a cancellare i filmati prima che intervenga la polizia per evitare possibili rappresaglie da parte delle famiglie malavitose.
L’attuale situazione politica del paese ha fatto emergere in maniera eclatante un altro dei grandi problemi della minoranza araba: la scarsa partecipazione alla vita politica. Mediamente l’elettorato arabo vota in percentuale minore rispetto alla media nazionale: nelle ultime governative la media nazionale dei votanti è stata di oltre il 70% mentre quella dell’elettorato arabo era nettamente inferiore con un modesto 53%. Questo è stato uno dei principali motivi, oltre alle divisioni interne della sinistra israeliana, che ha permesso la formazione dell’attuale governo di estrema destra, con le conseguenze che tutti vediamo. Gli arabi israeliani si trovano da decenni in una situazione di stallo e ancora non sono in grado di prendere delle decisioni che se da un lato significano “sporcarsi le mani”, dall’altro sono indispensabili per avere un reale peso politico all’interno della società.
Se questi sono i principali problemi del 20% degli israeliani, anche la maggioranza ebraica ha le sue responsabilità, prima fra tutte la poca disponibilità ad approfondire la conoscenza della cultura e dei costumi del mondo arabo. Pochissimi israeliani parlano arabo e questo è un grosso ostacolo che impedisce un rapporto più diretto fra le parti in causa. Le posizioni del mondo arabo entrano nelle case degli israeliani filtrate dai commenti di giornalisti esperti nel settore, ma che inevitabilmente favoriscono determinate tematiche rispetto ad altre. È un fatto che nessuno di questi esperti è stato in grado di prevedere, anche minimamente, i piani di Hamas.
Capire le ragioni del vicino diventa quindi una condizione indispensabile per una migliore convivenza e una maggiore stabilità della società israeliana e questo ci riporta all’incipit di questo articolo: “Jarra el kerib walla ahuk el baid”.
Mentre scrivo queste righe 101 ostaggi sono ancora in mano ai nazi islamisti di Hamas. Secondo le fonti israeliane circa la metà sono già morti. Ogni giorno che passa senza la loro liberazione è un giorno di troppo e la loro crudele ed inutile prigionia dovrebbe pesare sulla coscienza di ognuno di noi. Bringthehomenow.
(Foto: Studenti arabi all’Università di Gerusalemme. Fonte: Israele.net)