di Esterina Dana
La storia siamo noi – canta Francesco de Gregori – siamo noi questo rumore che rompe il silenzio, questo silenzio così duro da raccontare.
Parole che sembrano fare da sfondo storico ed emotivo a La dedica, il bel libro scritto da Miriam Rebhun pubblicato dalla Giuntina, nel quale è descritto il destino ebraico del ’900 attraverso un’incredibile storia familiare.
La focalizzazione interna del racconto attiene alla voce dell’autrice, ma l’accattivante narrazione si intensifica progressivamente, favorendo così un processo di identificazione del lettore, che viene risucchiato nella Grande Storia e in quella piccola dei protagonisti perché è la gente che fa la storia (F. de G. cit.)
L’ “incidente” che dà l’avvio alle vicende è la scoperta casuale di una dedica su un sito online che raccoglie le biografie dei caduti di Israele: Sono Daphna, ho settantasei anni e sono tua figlia. Vivo a Berlino, ora sono in viaggio in Israele e penso a te.
È la nipote Noa a scoprirla e a darne comunicazione alla prozia Miriam che realizza di avere, forse, a Berlino una cugina di cui ignorava l’esistenza. Il fatto riapre la storia di famiglia che aveva ricostruito nel corso di venti anni (in Ho inciampato e non mi sono fatta male, 2011 e Due della Brigata, 2015 (n.d.r)) che credeva conclusa. Si attiva quindi per risolvere l’enigma e “correggerla”, dando il via a nuove ricerche che la immergono, ed immergono il lettore con lei, negli anni bui dai prodromi della Shoah fino alla nascita dello Stato di Israele, da Napoli a Kiryat Chaim, un sobborgo di Haifa, a Ra’anana, Rosh Hanikrà fino a Berlino dove tutto è cominciato e tutto si concluderà.
Il fascino di questo racconto è insito nella sua forma espressiva che trasforma una ricerca storica genealogica in una sorta di seduzione poliziesca. Il susseguirsi dei dubbi, esplicitati talvolta con gustosa ironia, talaltra con trepida curiosità, coinvolge i lettori rendendoli partecipi di un’indagine che consente di entrare in empatia con l’autrice. Ripercorriamo con lei gli spostamenti del padre Heinz, conosciuto solo attraverso i racconti della madre Luciana, e dello zio Gughi, suo fratello gemello. Dalla natia Berlino, abbandonata a causa delle leggi razziali, essi emigrano in Palestina con deviazioni in Italia, il primo, in Francia e in Grecia, il secondo. Di carattere più posato e riflessivo Heinz, più inquieto e scapestrato Gughi, muoiono entrambi nello stesso anno 1948 in circostanze diverse, lasciando giovani mogli e tre figli: Miriam, figlia unica, e Ilana e Chanoch. Cresciuti solo dalle loro madri, hanno “saputo della famiglia Rebhun solo quel poco che loro sapevano e che sceglievano di raccontare. E forse, per propri motivi, non volevano affatto raccontare”.
In questo viaggio a ritroso nel tempo, tra messaggistica di whatsapp, appassionate ricerche in internet e in documenti cartacei quali lettere scritte dal Heinz alla moglie Luciana e all’amico Avraham Blum, Miriam colma le lacune sugli eventi del passato e riceve sorprese inattese che la confermano nel suo tenace desiderio di rintracciare Daphna. Nel percorso alla ricerca delle sue radici, grazie a incontri casuali e felici coincidenze che creano nuovi legami, scopre il tragico destino di Frida e Leopold, i suoi nonni paterni. Ma all’originario desiderio di dare voce a chi non ha potuto far sentire la propria, ottemperando all’imperativo ebraico di trasmettere la memoria, la dedica aggiunge una prospettiva per il futuro.
Perché a Daphna si rivela la figlia di Gughi, fino ad allora sconosciuta alla famiglia, dalla quale viene accolta con struggente delicatezza. “Oggi … i protagonisti siamo noi, quattro figli di due padri e quattro madri di tre paesi diversi”. Questo felice ritrovamento comporta il riconoscimento di un’appartenenza che ricade anche sulle generazioni più giovani, i nuovi testimoni del vissuto drammatico dei loro nonni e bisnonni.
Miriam Rebhun, La dedica, Giuntina, pp. 168, 16 euro