Diario minimo (di un conflitto). La strada verso casa

Israele

di Luciano Assin
Come un infante che compie i suoi primi passi incespicando in cerca di equilibrio e solidi basi, così appare la tregua siglata col governo libanese: ancora traballante e con più dubbi che risposte. L’improvvisa e inaspettata implosione della Siria non fa che aumentare le incertezze e gli imprevisti.

Il desiderio di tornare, per chi ha ancora la casa intatta, è enorme ma le variabili che influiscono su una decisione definitiva sono numerose e legate a interessi e decisioni al di sopra della volontà del singolo individuo. Non è solo una questione di quanto e come durerà la tregua ci sono numerose questioni pratiche e psicologiche da risolvere.

Quanto tempo sarà necessario per rimettere in piedi il sistema educativo? L’anno scolastico è iniziato a settembre, e i bambini in età scolastica si trovano attualmente in scuole lontane e in classi diverse con nuovi compagni. In questi ultimi 14 mesi la gente ha dovuto trovare un nuovo lavoro, affittare un appartamento e cambiare drasticamente le abitudini quotidiane.

Ma il tema centrale che frena un ritorno di massa è la sicurezza personale. L’esercito ha perso buona parte del prestigio di cui ha sempre goduto, il governo, che ha sempre rifiutato di assumersi la piena responsabilità del pogrom del 7 ottobre, è impegnato a portare avanti una politica che aumenta le divisioni all’interno della società israeliana invece di cercare di saldare una frattura che alla fine potrà rivelarsi insanabile. Nè Bibi né il resto dell’esecutivo si è ancora pronunciato su una possibile data che segni in qualche modo la fine di un incubo che ci accompagnerà per tutta la nostra vita.

In una tale realtà il ritorno alle proprie case diventa una priorità, la seconda per importanza dopo la liberazione degli ostaggi, ma l’orizzonte non è ancora abbastanza limpido e chiaro per imboccare la strada verso casa.

Bringthemhomenow. Mentre scrivo queste righe 100 ostaggi sono ancora in mano ai nazi islamisti di Hamas. Secondo le fonti israeliane circa la metà sono già morti. Ogni giorno che passa senza la loro liberazione è un giorno di troppo e la loro crudele ed inutile prigionia dovrebbe pesare sulla coscienza di tutti noi.

 

(Foto: Sebastian Engelbrecht/Deutschlandradio)