Amsterdam, per la giustizia non è antisemitismo: la procura sminuisce gli attacchi ai tifosi israeliani

Mondo

di Anna Coen
È trascorso oltre un mese da quel 7 novembre, una data che resterà tristemente impressa nella memoria collettiva. Ad Amsterdam, durante la partita tra Ajax e Maccabi Tel Aviv, si è consumata una notte di gravissimi episodi di violenza che ha sconvolto il mondo ebraico e non solo. Gli attacchi subiti dai tifosi israeliani da parte di manifestanti filo-palestinesi hanno scatenato un’ondata di indignazione e sollevato interrogativi profondi su giustizia, antisemitismo e responsabilità istituzionali.

Sette sospettati sono già comparsi in tribunale, tra cui un uomo originario di Gaza accusato di tentato omicidio. Altri sei verranno processati separatamente. Eppure, la decisione della procura di Amsterdam di non considerare questi atti motivati dall’antisemitismo lascia un sapore amaro. «La violenza non è stata motivata dall’odio razziale, ma dalla rabbia per la situazione a Gaza», ha dichiarato il pubblico ministero. Parole che pesano come macigni. Davvero si può ridurre tutto a una reazione di «rabbia», trascurando il contesto, la violenza e la natura degli slogan urlati quella notte? C’è chi interpreta queste parole come un tentativo di giustificare, in qualche modo, un comportamento ingiustificabile. Ancora una volta, le istituzioni occidentali sembrano sottovalutare l’odio verso gli ebrei, alimentando la narrazione di una propaganda ideologica che confonde giustizia e politica.

Secondo quanto riportato dal Times of Israel, i procuratori hanno chiesto due anni di carcere per Sefa O., un ventiduenne accusato di aver brutalmente aggredito i tifosi israeliani, colpendoli con pugni e calci. Le immagini mostrate in aula lo ritraggono mentre insegue e attacca ripetutamente le sue vittime. Un ruolo da protagonista in una violenza che, come sottolineato dalla stessa procura, «aveva poco a che fare con il calcio». Durante il processo, Sefa O. ha cercato di mostrare pentimento: «Sono molto dispiaciuto, voglio rifarmi una vita. Mia moglie è incinta». Ma il pentimento tardivo basta davvero a risanare il dolore inflitto?

Le violenze non si sono limitate alle strade. I social media hanno amplificato l’odio: post incitavano a «dare la caccia agli ebrei». Nel frattempo, decine di turisti israeliani si sono barricati negli hotel, terrorizzati. Dieci persone sono rimaste ferite, mentre gruppi di aggressori mascherati urlavano slogan pro-palestinesi, braccando e colpendo le loro vittime. Eppure, il bilancio delle indagini è sconfortante: su centinaia di persone coinvolte, solo 45 sono state identificate, e appena cinque portate davanti a un giudice.

Le dinamiche non erano però prive di tensioni reciproche. Nei giorni precedenti, alcuni tifosi del Maccabi avevano cantato cori anti-arabi, vandalizzato un taxi e bruciato una bandiera palestinese. Anche loro sono ora oggetto di indagini per «comportamenti provocatori”, secondo quanto comunicato dalla Procura olandese. Tuttavia, le reazioni alle provocazioni risultano sproporzionate. La domanda è se queste provocazioni possano mai giustificare un’ondata di violenza così grave e indiscriminata.

Tra i cinque sospettati già comparsi in aula, spicca la vicenda di Abushabab M., ventiduenne nato nella Striscia di Gaza, accusato di tentato omicidio colposo. Il suo processo è stato rinviato per l’assenza di un interprete arabo, ma il suo avvocato ha già cercato di dipingerlo come una vittima delle circostanze: «È cresciuto in una zona di guerra e soffre probabilmente di disturbi psicologici». Una difesa che, pur cercando di umanizzare l’imputato, non attenua la gravità delle sue azioni.

La città di Amsterdam si trova ora a fare i conti con le ferite aperte. Il sindaco Femke Halsema ha parlato di una «notte insopportabile, segnata da un antisemitismo pieno di odio». Anche il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha definito gli eventi un «attacco antisemita premeditato». La Lawfare Project, organizzazione ebraica per i diritti civili, ha ribadito in tribunale: «I tifosi del Maccabi sono stati attaccati solo perché ebrei».

Ma la giustizia sembra muoversi con il freno a mano tirato. Perché le accuse non includono l’antisemitismo, nonostante i video e le testimonianze? Forse è più facile chiudere un occhio davanti a un odio che troppo spesso viene giustificato o minimizzato in nome di un conflitto più grande. E così, ancora una volta, si rischia di cadere nella trappola della propaganda e delle narrazioni unilaterali.

Il 24 dicembre è atteso il verdetto. Sarà una prova importante non solo per i tribunali olandesi, ma per l’intera Europa, sempre più divisa tra il dovere di combattere l’odio e il rischio di legittimarlo, seppur indirettamente. L’episodio di Amsterdam è un campanello d’allarme che non può essere ignorato.