“Il nostro è un luogo di ritrovo dove la gente si sente ispirata”: Cafe Otef, la catena di food store dei sopravvissuti al 7 ottobre, si espande in Israele

Personaggi e Storie

di Pietro Baragiola
Fondata dall’imprenditore culinario Tamir Barelko, Cafe Otef è una catena di food store israeliani lanciata da e per i sopravvissuti del 7 ottobre.

Il nome “Otef” (“busta” in italiano) si riferisce alla regione di Israele al confine con Gaza che è stata colpita duramente dai terroristi di Hamas.

La catena è gestita interamente da sfollati provenienti dalle comunità del sud del Paese e offre un’ampia gamma di prodotti provenienti proprio da quelle aree: formaggi di Be’eri, miele del kibbutz Erez, marmellate, creme, muesli e torte, oltre a numerosi articoli di marca come magliette e grembiuli.

La prima filiale è stata aperta agli inizi del 2024 nel quartiere Sarona a Tel Aviv e il suo personale era composto da residenti di Netiv HaAsara.

Presto, però. il locale ha avuto un così grande successo da permettere l’apertura di una seconda filiale, oggi situata nel quartiere di tendenza Florentin e gestita dall’israeliana Reut Karp.

Reut e Dvir Karp

In un’intervista con la Jewish Telegraphic Agency, Reut ha raccontato che ‘quando tutti pensavano di morire per la pandemia’ aveva esortato il marito Dvir, chocolatier, a scrivere le sue ricette e, nonostante l’iniziale resistenza, alla fine lui ha acconsentito.

Durante la strage del 7 ottobre, Dvir è stato ucciso nel kibbutz Re’im davanti ai loro figli, all’epoca di 10 e 8 anni, e Reut ha sentito subito la profonda responsabilità di preservare il ricordo del marito in ogni modo possibile.

Oggi i cioccolatini preparati con le ricette di Dvir sono il pezzo forte della sua filiale del Cafe Otef e Reut è convinta che suo marito sarebbe fiero di lei.

“Probabilmente direbbe solo che ho esagerato” ha affermato la proprietaria del locale, spiegando di aver creato un nuovo logo per i cioccolatini ispirandosi al rinomato brand Cartier. “Negli ultimi sei mesi ho detto tante volte ‘grazie’ a Dio per questo locale che mi spinge ad alzarmi dal letto e a dare un senso alle mie giornate. È bello sapere che anche i miei collaboratori la pensano come me”.

Il locale è diventato presto un luogo di ritrovo per tutti coloro che sono stati direttamente colpiti dagli eventi del 7 ottobre: che siano sopravvissuti al Nova Music Festival, genitori in lutto o molti altri, Cafe Otef offre loro uno spazio per raccontare le proprie storie e affrontarle insieme.

“Vogliono sentire un senso di connessione” ha affermato Reut, la cui filiale è stata battezzata Cafe Otef-Re’im per rendere omaggio al proprio kibbutz dove 80 terroristi hanno ucciso sette residenti (tra cui Dvir) e ne hanno rapiti altri quattro.

 

Il Cafe Otef-Re’im

Posizionato nell’area centrale di Tel Aviv, Cafe Otef-Re’im è diventato un punto d’incontro naturale per gli sfollati provenienti dal nord e sud di Israele, che hanno creato tra loro un senso di cameratismo all’interno del locale.

Reut nel corso della sua intervista ha raccontato di come una donna del kibbutz Manara, oggi ritenuto ‘una Chernobyl israeliana’ per la quantità di frammenti di razzi e detriti sparsi a terra, si sia recata nel suo store qualche settimana fa solo per abbracciarla.

“Quel contatto è stato come un caricatore umano per me” ha affermato Reut. “Ho capito che avevo fatto la scelta giusta nel prendere in gestione questo posto.”

L’anemone coronaria, il fiore nazionale israeliano onnipresente nella regione di Re’im, è ovunque anche nel locale di Reut: ricamato sulle uniformi del personale, stampato sulle tazze da asporto ed esposto sugli oggetti in ceramica in vendita.

Sulla parete principale è appeso un poster creato da Adi Drimer, un insegnante d’arte di Re’im che ha raccolto insieme i messaggi disperati inviati nel gruppo WhatsApp del kibbutz durante la strage del 7 ottobre.

Tra i frammenti di testo presenti c’è anche un messaggio di Reut in cui implorava gli altri membri del kibbutz di salvare i suoi figli: “Urgente! Urgente! Daria e Levi sono soli. Mio marito Dvir è stato ucciso.”

“È importante ricordare che non è nostra intenzione far sprofondare gli ospiti nel nostro dolore” ha spiegato Reut alla Jewish Telegraphic Agency. “Questo è innanzitutto un luogo di ritrovo, quando la gente ci vede andare avanti, si sente ispirata.”

Tra i dipendenti di Reut c’è anche il 20enne Ziv Hai, che si è trasferito a Tel Aviv dopo che ha dovuto abbandonare il suo kibbutz al confine con l’Egitto.

“Mi sento come se avessi lasciato un pezzo di me stesso a Sufa e qui a Tel Aviv sto cercando di ricostruirmi. Il locale mi dà un posto dove posso sentirmi a mio agio. Posso raccontare una barzelletta scurrile e tutti qui – perché anche loro vengono dal sud – la capiscono” ha raccontato Hai alla Jewish Telegraphic Agency.

Oggi circa 100 dei 450 residenti di Re’im sono tornati a casa, tra cui molti dipendenti di Reut, ma non tutti sono lieti di questa notizia.

“Molti nostri clienti hanno sentimenti contrastanti sulla nostra partenza. Da un lato sono felici che torniamo a casa, ma dall’altro vogliono che restiamo perché la nostra presenza qui ha dato un volto al 7 ottobre” ha spiegato la proprietaria del locale, fiera dell’impatto che sta portando con il suo lavoro.

Oggi il fondatore di Cafe Otef, Barelko, ha grandi progetti per espandere sempre più i suoi store in Israele e, già nelle prossime settimane, aprirà due nuove filiali: Cafe Otef-Sderot e Cafe Otef-Kiryat Shmona.

L’obiettivo è quello di introdurre l’utilizzo di food truck in varie località del Paese e coinvolgere il più possibile i numerosi soldati rimasti invalidi a causa del conflitto in Medio Oriente, per aiutarli a reintegrarsi nelle loro comunità.