di Nathan Greppi
RE’IM – Una volta superata Ofakim, l’ultima città che i terroristi di Hamas hanno raggiunto il 7 ottobre prima di essere respinti dalle forze di sicurezza israeliane, si arriva davanti ad un enorme spiazzo sabbioso, dove non mancano i visitatori giunti in auto o in pullman.
Ad oltre un anno dai fatti del 7 ottobre, sono in molti coloro che ogni giorno si recano nei luoghi dove sono avvenuti i massacri, e in particolare al Memoriale realizzato a Re’im, nel luogo in cui quel giorno si teneva il Nova Music Festival. Qui, sono state trucidate centinaia di persone, per la maggior parte giovani, durante quella che avrebbe dovuto essere una giornata di gioia e spensieratezza, ma che in breve tempo si è trasformata in un incubo.
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I rifugi improvvisati
Appena arrivati, il primo luogo che raggiungiamo è lo stand dove era stato allestito il bar per i partecipanti al festival. Qui, circa una ventina di ragazzi hanno cercato di nascondersi asserragliati tra i refrigeratori, salvo un paio che tra le 9:22 e le 9:35 sono fuggiti per nascondersi altrove. Tra le 9:35 e le 9:45 circa, una decina di terroristi hanno circondato il bar dopo aver ucciso una poliziotta che ha cercato senza successo di difendere i ragazzi. I terroristi dapprima hanno fatto uscire alcuni ragazzi stendendoli a terra per poi sparargli a bruciapelo, e poi sono entrati per eliminare tutti i superstiti.
Nel tendone del bar, i refrigeratori sono stati lasciati così com’erano quando i giovani hanno cercato di usarli per barricarsi. Oltre alle lapidi vicine dedicate ad alcune delle vittime, sotto il tendone si vedono diversi pannelli che raccontano chi erano e cosa facevano, ricordando ai visitatori che quelle vite spezzate non erano solo numeri. Erano sogni, speranze e desideri, stroncati quando meno se lo aspettavano.
Incamminandoci, arriviamo difronte a un enorme container giallo. Quel giorno, verso le 8:15, quando i partecipanti hanno iniziato a fuggire, quelli di Hamas sono entrati nel parcheggio per sbarrare loro la strada. Fuggendo indietro, alcuni si sono nascosti tra i rifiuti all’interno dei container, cercando di mettersi in contatto tramite cellulare con i loro parenti mentre intorno a loro sentivano gli spari e le urla di chi veniva massacrato.
All’interno del container, dei pannelli mostrano le foto dei messaggi su Whatsapp tra i ragazzi che vi si nascondevano e i loro cari. Sono rimasti nascosti lì per ore, finché verso le 11:47 un terrorista li ha visti e si è messo a sparare. Il bilancio è stato di nove morti e quattro feriti.
Un caso analogo riguarda un’ambulanza che si trovava dalla parte opposta dell’area, dove circa venti partecipanti al festival si sono nascosti quando quelli di Hamas sono entrati nel parcheggio. Ma alle 9:10, i terroristi dapprima hanno sparato e lanciato granate contro chi si nascondeva nelle vicinanze e poi, alle 9:23, hanno sparato un missile RPG contro l’ambulanza, distruggendola completamente. Su venti persone che erano nascoste al suo interno, diciotto hanno perso la vita.
Papaveri prima della pioggia
Uno degli elementi che pesano maggiormente nella memoria collettiva del 7 ottobre riguarda l’intervento tardivo dell’esercito, giunto sul posto con ore di ritardo senza essere riuscito a salvare coloro che avevano bisogno di aiuto. Invece, laddove c’era la caserma della polizia locale, ora c’è una struttura dove sono esposte le foto di quegli agenti che, in assenza dell’IDF, hanno dato la vita affrontando i terroristi.
Poco più avanti, vi è lo spiazzo dove i ragazzi ballavano tutti insieme prima che iniziasse il massacro; qui sono stati piantati tanti piccoli pali di legno con appese le fotografie delle vittime dell’eccidio, talvolta legate assieme alla bandiera israeliana. Tutt’intorno, il luogo è tranquillo; nonostante il cospicuo numero di visitatori, nella zona boscosa c’è silenzio, interrotto solo dal cinguettio degli uccelli o dal frusciare dei salici al vento.
Di fronte allo spiazzo, sono state piantate diverse sculture a forma di fiori di papavero, una pianta assai comune nella zona del Negev, sistemate e ordinate in modo tale che dall’alto sembrano formare un unico grande fiore. Le sculture che formano l’allestimento, intitolato “Papaveri prima della pioggia”, sono state realizzate da migliaia di volontari per ricordare le vittime del 7 ottobre e coloro che sono caduti nel corso della guerra.
Alberi, simbolo di vita
Verso la fine, arriviamo nella parte del Memoriale di Re’im dove il KKL (Keren Kayemeth LeIsrael) ha piantato numerosi alberi in memoria delle vittime. Il gesto serve a ricordare non solo coloro che non ci sono più, ma anche la vita che continua. Un messaggio di speranza, in un periodo in cui c’è ne assai bisogno.
Se alcune ferite si stanno richiudendo a fatica, altre al contrario sono tuttora aperte: uscendo con la macchina dal luogo del memoriale, non si può fare a meno di notare un immenso striscione per chiedere la liberazione degli ostaggi che si trovano tuttora a Gaza. In tutta Israele, non vi è città o strada che non sia tappezzata con i manifesti degli ostaggi e i nastri gialli. Per ricordare che ciò che è iniziato il 7 ottobre non è ancora finito.