di Ugo Volli
[Scintille. Letture e riletture] Dalla fine del nazismo e dall’apertura dei Lager sono passati ormai ottant’anni, il tempo di una vita intera. Ma se qualcuno dubitava della necessità di tener viva la memoria della Shoah, di continuare cioè a considerarla come una problema aperto e rilevante e non materia fredda di storia, il pogrom del 7 ottobre 2023 e soprattutto le reazioni antisemite che subito dopo si sono tante diffuse in Europa e nel resto dell’Occidente, soprattutto fra i giovani, lo hanno purtroppo smentito. Per quanto a noi ebrei faccia male ripensare a quegli orrori, per quanto non vogliamo essere identificati con i crimini che abbiamo subito e continuare ad essere visti solo come vittime, non possiamo permetterci di archiviare il genocidio nazista fra la tante terribili stragi e tentativi di eliminazione di cui la storia ebraica è costellata a partire dalla schiavitù egiziana. C’è bisogno di continuare a sostenere un’educazione sulla Shoah, a trasmettere la sua memoria, a far vedere che è una tragedia che ancora riguarda tutti. Ma come farlo nel tempo in cui gli ultimi testimoni del genocidio sono ormai molto anziani e rischiamo di perderli presto, in un periodo in cui l’evoluzione tecnologica e sociale rende sempre più difficile ottenere l’attenzione dei giovani? È questo il tema di un libro molto importante scritto da Ariela Piattelli: Il futuro e la memoria – Shoah, antisemitismo e generazione Z, pubblicato da Rai Libri, 2025.
La trattazione è costituita prevalentemente da interviste con protagonisti italiani e si svolge su tre piani che potremmo chiamare i vettori del problema attuale della memoria. Nella sezione conclusiva del libro si trovano i pensieri dei sopravvissuti che continuano da decenni a sostenere lo sforzo fisico e psicologico della testimonianza, della rievocazione degli orrori che hanno visto e personalmente subito. Sono grandi personalità, da Edith Bruck a Sami Modiano, da Lia Levi a Liliana Segre, che riflettono a voce alta sulla missione che si sono assunti per tutta la vita.
A fare da contrappunto alla loro esperienza sono chiamati prima alcuni giovani intorno ai vent’anni, discendenti dei deportati, che raccontano che cosa significa essere i destinatari più prossimi della testimonianza. Sono storie private, ricordi di nonni e della memoria che hanno trasmesso, talvolta non facilmente anche in famiglia: una sezione molto originale e istruttiva.
Vi è infine un’importante parte teorica o didattica sull’uso delle nuove tecnologie nella conservazione della memoria. Parlano lo storico Marcello Pezzetti, accompagnatore di moltissime scolaresche nei viaggi della memoria; lo psichiatra Raffaele Morelli sulle caratteristiche della generazione Z; Dov Forman, pronipote di Lily Ebert, reduce da Auschwitz recentemente scomparsa, che l’ha convinta a fissare la sua memoria su Tik-Tok, Stefano Gatti, ricercatore presso il CDEC, Simonetta Della Seta, che è stata responsabile del Gruppo di lavoro Memoriali e Musei dell’IHRA (International Holocaust Remembrance Alliance), il regista Ruggero Gabbai e alcuni altri, tutti interpellati sulla loro esperienza di utilizzo degli strumenti contemporanei per preservare il ricordo della Shoah.
La polifonia di queste voci e di queste esperienze propone uno spessore umano straordinario, ma suggerisce anche direzioni di lavoro, possibili azioni e sperimentazioni. Non una guida, ma una riflessione a più voci, indispensabile per chi oggi sente la responsabilità di lavorare con la memoria per sconfiggere la rinascita dell’antisemitismo.