di Sofia Tranchina
Lunedì 10 febbraio Hamas ha annunciato che il rilascio dei tre ostaggi previsto per sabato 15 verrà posticipato “fino a nuovo avviso”, accusando Israele di aver violato gli accordi per il cessate il fuoco e Trump di aver mosso proposte di pulizia etnica della striscia di Gaza.
In realtà, Hamas non ha nessun impegno da rispettare da qui a sabato, e ha fatto sapere di aver dato l’annuncio in anticipo per dare modo alle parti di “rettificare” in tempo la situazione e permettere all’accordo di procedere fluidamente. Basem Naim, del bureau politico di Hamas, ha dichiarato martedì ad Al Jazeera: «Abbiamo ancora cinque giorni in cui i mediatori, gli Stati Uniti, la comunità internazionale e la società israeliana possono fare pressione su Netanyahu affinché rispetti l’accordo e adempia ai suoi obblighi».
Quello che l’associazione afferma di volere è l’ingresso nella Striscia di più macchinari pesanti per la rimozione delle macerie, e di generatori per l’elettricità. Si tratta insomma di un ultimatum: o ci date tutto quello che abbiamo chiesto, o salta tutto. La posta in gioco è la vita degli ostaggi, che, come evidenziato dalle condizioni degli ultimi tre rilasciati, è in grave pericolo.
Trump ha risposto con un contro-ultimatum: «alla fine la decisione spetta a Israele, ma, per quanto mi riguarda, io direi che se tutti gli ostaggi non saranno restituiti entro sabato a mezzogiorno – e nona piccoli gruppi, non due e uno e tre e quattro e due – salterà l’accordo e si scatenerà l’inferno (e capiranno che cosa intendo)».
Insomma, mentre le famiglie degli ostaggi supplicano di negoziare, Trump cambia la strategia: vuole dire a tutti “il coltello dalla parte del manico ce l’ho io”.
Ma secondo il presidente americano Hamas non rilascerà gli ostaggi, non a causa delle accuse di violazione del cessate il fuoco, ma perché la maggior parte degli ostaggi sarebbero morti, mentre gli altri sarebbero in condizioni tanto emaciate da far fare “brutta figura” al gruppo terroristico: «gli ultimi ostaggi sembrava che fossero tornati da campi di concentramento, e penso che quelli di Hamas si siano resi conto di come il mondo li ha guardati con occhio negativo e stiano cercando una scusa per non mandarne altri. Quelli che abbiamo visto probabilmente sono quelli messi meglio: hanno mandato i più sani. Basandomi su ciò che ho visto negli ultimi due giorni, gli ostaggi là non vivranno ancora a lungo». Si è infatti saputo che alcuni degli ostaggi sono tenuti da 495 giorni in catene, senza cure, senza esposizione alla luce del sole e con un quarto di pita al giorno come unico cibo.
«Siamo impegnati nell’accordo», dichiara Hamas, e accusa Israele di limitare gli aiuti umanitari, di sparare ai palestinesi e di rallentare i colloqui per la seconda fase dell’accordo mandando al tavolo delle trattative una delegazione di basso profilo che non ha il diritto di prendere decisioni.
«I militanti potrebbero anche stare avendo difficoltà a trovare ostaggi vivi da restituire, e aver trovato un escamotage per non ammetterlo», afferma Trump, accusando Hamas di auto-rapinarsi: gli aiuti entrano, ma Hamas saccheggia i camion per venderne i contenuti a prezzi gonfiati.
Smentendo il gruppo terroristico, martedì, il portavoce dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari (OCHA), Jens Laerke, ha dichiarato in una conferenza stampa a Ginevra: «abbiamo potuto ampliare in modo significativo le operazioni umanitarie con forniture di cibo, medicine, rifugi e altri aiuti durante il periodo di cessate il fuoco.»
Un reportage di Al Jazeera afferma che solo 53.000 tende sarebbero arrivate a Gaza, mentre COGAT, l’agenzia militare israeliana legata al del Ministero della Difesa che supervisiona le consegne di aiuti a Gaza, ha dichiarato in un comunicato inviato a Reuters che, durante il cessate il fuoco, più di 100.000 tende sarebbero entrate nell’enclave costiera.
Inoltre, Hamas lamenta che sarebbero arrivati solo quattro bulldozer per rimuovere le macerie, mentre gliene servirebbero 500, e che la centrale elettrica della Striscia non sia ancora operativa a causa della necessità di riparazioni e attrezzature. Tra le accuse di violazioni dell’accordo da parte di Israele anche un ritardo nel permettere il ritorno dei palestinesi a nord. Infatti, dopo il primo scambio di ostaggi, durante il quale centinaia se non migliaia di militanti mascherati e armati si accalcavano violentemente intorno agli ostaggi che cercavano di raggiungere i veicoli della Mezzaluna Rossa, Israele ha rallentato il ritiro dal corridoio di Netzarim: una questione presto risolta, permettendo ai gazawi di tornare a nord.
Israele è anche accusata di non aver rispettato il cessate il fuoco, sparando e uccidendo fino a un centinaio di persone nella Striscia durante la cosiddetta tregua. In realtà, l’accordo prevedeva il ritiro delle forze israeliane verso est dalle aree densamente popolate lungo i confini della Striscia di Gaza, e il loro dispiego in un perimetro di 700 metri, con un’eccezione in 5 punti localizzati, in cui possono estendersi per altri 400 metri aggiuntivi, determinati dalla parte israeliana a sud e a ovest del confine, in base alle mappe concordate, e i soldati affermano di aver aperto il fuoco soltanto quando qualcuno si avvicinava a loro in violazione dell’accordo. Al momento, non ci sono indagini indipendenti per verificare le affermazioni delle due parti.
Israele ribatte che è Hamas a violare continuamente gli accordi, non comunicando le condizioni degli ostaggi – lasciando così le famiglie a lottare contro l’incertezza –, ritardando la pubblicazione dei nomi degli ostaggi da rilasciare, ritardando i rilasci stessi, e cambiando gli accordi (i rilasci erano previsti per le domeniche, ma Hamas li ha spostati ai sabati per umiliare ulteriormente Israele e la fede ebraica che prevede di non fare spostamenti durante shabbat).
Husam Zomlot, capo della Missione Palestinese nel Regno Unito, ha cercato di tamponare i danni: «Rompere l’accordo di cessate il fuoco non è un’opzione, dobbiamo continuare su questa strada, e dobbiamo convincere Hamas a implementare l’accordo. Dall’altro lato, Netanyahu è fuori controllo, è ovvio che vuole tornare alla sua coalizione e poter dire di non aver rispettato l’accordo».
Dall’inizio del cessate il fuoco, firmato il 15 gennaio e attuato dal 19 gennaio, sono stati effettuati cinque scambi, che hanno portato al rilascio di 16 ostaggi israeliani (oltre a cinque ostaggi thailandesi liberati in un accordo separato) e centinaia di prigionieri palestinesi. 76 ostaggi restano a Gaza, di cui 14 dovrebbero essere rilasciati nella prima fase.
- Leggi anche: Rilascio degli ostaggi tra dure polemiche: emaciati e denutriti, sono l’ombra di loro stessi
- Leggi anche: Gli ostaggi liberati sabato 1 febbraio sono Ofer Calderon, Keith Siegel e Yarden Bibas
- Leggi anche: Gaza: liberati 3 ostaggi israeliani e 5 tailandesi. La rabbia di Israele per lo “show” di Hamas e Jihad Islamica
- Leggi anche: Liberate le quattro soldatesse di Tzahal: forti contro le sceneggiate di Hamas
- Leggi anche: Emily, Doron e Romi, i primi tre ostaggi liberati, sono in Israele. Iniziata la tregua