Sotto una pioggia di 200 missili

Israele

di Giulio Meotti

Qual è la differenza fra una pizzeria di Londra e una pizzeria di Ashkelon? Che la prima è una pizzeria, mentre la seconda è anche un “target”, un obiettivo militare. Nelle ultime due settimane, i terroristi islamici di Gaza hanno sparato oltre duecento missili sulle città israeliane del sud.

Con la storia di Sderot, Ashdod e Ashkelon si potrebbe raccontare la parabola d’Israele. Sono tranquille città industriali affacciate sul mare che non hanno mai fatto male ad anima viva e che stanno nei confini riconosciuti dello Stato ebraico (sempre che esistano).

I negozi chiudono in fretta, la gente cerca casa altrove, si va a vivere dai parenti, le scuole restano serrate e la tristezza si mangia la celebre joie de vivre israeliana.

Intanto Gaza, che non è più “occupata” da sette anni ma è finanziata lautamente dai contributi internazionali, si è trasformata in una grande base per il lancio di missili Grad di fabbricazione iraniana.

Quella israeliana è l’unica popolazione civile del mondo cosiddetto “civilizzato” costretta a passare il tempo con gli occhi rivolti al cielo. Il missile è un’arma fatale e simbolica, cade con un preavviso di dieci secondi nel mezzo della popolazione civile; viene lanciato con lo scopo di uccidere e terrorizzare i civili, e preserva dallo scontro fisico diretto. Immaginiamoci se anziché a Gedera o a Beersheba, questi missili fossero caduti su Pavia, Montpellier, Zurigo, Chelsea o Salisburgo. Si sarebbe mossa la Nato, l’Onu li avrebbe condannati e avremmo letto dei reportage sulla popolazione civile assediata, come quando i nostri cronisti fecero a gara per raccontare l’assedio di Sarajevo. Questo non accade mai per Israele.

La sua guerra esistenziale deve essere senza cronaca né ricordo, come se accettassimo che la sua esistenza è “temporanea”. L’assedio alle sue anonime città meridionali ci parla dell’attacco ai valori occidentali e della resistenza del popolo ebraico, ma anche dell’indifferenza del mondo.

Il terrorismo che ha preso casa a Gaza sta migliorando la mira: prima ha raggiunto Ashkelon (a 20 km da Gaza), Ashdod (31 km), Beersheba (40 km), Rehovot (42 km), Rishon Lezion (58 km) e la prossima volta toccherà a Tel Aviv, la grande metropoli bianca e moderna nella cui area vive il settanta per cento della popolazione israeliana.

C’è un solo precedente storico di una moderna democrazia sotto quotidiano attacco missilistico. Accadde il 7 settembre 1940, quando per due mesi Londra fu bombardata giorno e notte dai nazisti. Il fuoco consumò parti della città e la gente si rintanò nei rifugi. Adesso un milione di israeliani si sveglia la mattina con le previsioni del tempo e il bollettino dei missili lanciati sui loro asili nido, pizzerie, strade. Ci sono bambini che non vogliono uscire dai bunker e gente che prende l’auto per fare pochi passi pur di non rimanere a piedi se suona l’allarme. Per molti, l’unico riparo è il tavolo di casa. La morte scende dal cielo, annunciata dall’orribile sirena che ogni anno, a maggio, ricorda a tutti dell’Olocausto. Un caso?

Giulio Meotti è giornalista del Foglio dal 2003. È autore di “Non smetteremo di danzare” (Lindau), inchiesta sulle vittime israeliane del terrorismo. Il libro è stato tradotto negli Stati Uniti e in Norvegia. Per il presidente del Parlamento israeliano, Reuven Rivlin, “è un lavoro impressionante che riempie i vuoti nell’opinione pubblica internazionale su Israele”. Meotti ha scritto anche per il Wall Street Journal, Commentary, National Review, Arutz Sheva, Jerusalem Post, Fox News, Jüditsche Allgemeine e per Yedioth Ahronoth, primo quotidiano israeliano. Da questo numero firma una rubrica su Il Bollettino, “i piccoli eventi che dicono tutto”, uno sguardo su Israele visto dall’Italia.