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E’ nata come un atto di solidarietà nei confronti del soldato David Admov, sospeso perché durante il servizio a Hebron aveva avuto uno scontro con un ragazzo palestinese di 15 anni. Ma ora l’operazione divulgata sui social network da molti soldati israeliani ha assunto le proporzioni di vera e propria protesta contro le condizioni a cui sono sottoposti durante i servizi in cui hanno a che fare con i provocatori palestinesi.
Da mercoledì, dunque, un numero sempre crescente di soldati e soldatesse pubblicano su Facebook, in una pagina chiamata “Anche io sto con David della Brigata Nahal”, delle foto in cui, con il volto coperto (per evitare conseguenti punizioni), tengono dei cartelli in cui c’è scritta la stessa frase di solidarietà al soldato. In un solo giorno, la pagina aveva già conquistato 60.000 like, che sono diventati oggi più di 90.000. Tutti a condividere la motivazione, scritta nella pagina: “I soldati israeliani sono stanchi di essere abbandonati al nemico ed essere trattati come delle pedine”.
Non sono però solo soldati a farsi ritrarre nelle foto: molti anche i civili, alcuni dei quali si fanno ritrarre con i propri animali domestici o con i propri figli.
La vicenda del soldato David Admov è esplosa una settimana fa, quando su YouTube è stato pubblicato il video che lo ritrae durante il diverbio con il ragazzo palestinese. A un certo punto, sentendosi minacciato, il soldato punta una pistola in faccia al ragazzo. Ora David è sottoposto a un’inchiesta del tribunale militare.
L’esercito metta fine alla protesta
Secondo gli opinionisti israeliani, ora la questione più urgente è una: Israele deve metterefine al più presto a questa protesta, dando ai soldati in servizio in territori pericolosi le giuste condizioni di sicurezza, in modo che non vengano attaccati e sottoposti a provocazioni.
“I soldati israeliani sono presi fra due fuochi: gli ordini che ricevono dai propri comandanti e l’enorme mare di provocazioni da parte di quelli il cui obiettivo è ottenere foto incriminanti i soldati israeliani e divulgarle sul web a livello globale – scrive l’opinionista Ron Ben-Yishai su Ynet -. Chiunque metta i soldtai in queste situazioni si comporta con loro in maniera non corretta. E’ l’esercito a dover assicurare che la maniera in cui i soldati devono lavorare n Hebron non li esponga a un confronto con i provocatori. Dovrebbero cioè poter lavorare da una posizione che li protegga dalle situazioni di angoscia tale da impugnare una pistola di fronte a un palestinese”.
Allo stesso tempo, però, nota l’opinionista, questa protesta sui social contraddice la disciplina e l’etica militare dell’esercito israeliano, e rischia di diminuirne l’immagine di compattezze e forza. “Solo negli anni ’80 – continua Ben Yishai – un fatto del genere sarebbe stato considerato un incitamento alla rivolta, e i soldati sarebbero stati processati e messi in prigione per molto meno”. Certo, il fatto che a questa protesta partecipino in migliaia, non la rende giustificabile o legittima. ma è sicuramente un segnale dello stato d’animo di decine di uno stato d’animo profondamente diffuso e condiviso. Forse molto di più di quello che ci si aspettava.