di Renato Coen
La sincerità paga sempre, almeno così si dice. E in effetti a Bibi Netanyahu è convenuto essere sincero.
Il giorno prima delle elezioni in Israele aveva detto, chiaramente, che se fosse rimasto Premier non sarebbe nato uno Stato palestinese e che non credeva fosse opportuno che nascesse. Il giorno dopo, sorprendendo molti, e gettando nello sconforto i sostenitori di sinistra, il suo Likud ha conquistato la maggioranza relativa nel nuovo Parlamento e si accinge a formare una nuova coalizione di destra guidata da lui.
Bibi è stato sincero, gli va riconosciuto, ha ammesso ciò che ha sempre pensato, ma non sempre detto: non ha alcuna intenzione di lavorare per la famosa soluzione dei due Stati per due popoli. Soluzione alla quale, con un discorso all’Università di Bar Ilan nel 2009, aveva invece annunciato di aver iniziato a credere.
Ora però non pensa sia sicuro. Ha paura che in Cisgiordania un futuro Stato di Palestina diventi una nazione dominata da jihadisti pronti a distruggere Israele. Dieci anni fa pensava la stessa cosa e attaccava Sharon che aveva deciso il ritiro da Gaza. Vent’anni fa accusava Rabin di aver tradito gli ebrei e gli israeliani. Quando l’allora premier fu ucciso dall’estremista Igal Amir, la vedova Leah accusò Netanyahu di essere il responsabile morale dell’omicidio a causa del clima d’odio che aveva diffuso nel Paese.
In realtà Netanyahu, oltre all’odio, è impegnatissimo a diffondere la paura. Un popolo che ha paura di sparire, che si sente perennemente minacciato, accerchiato, si sente giustificato a chiudersi, a negare qualsiasi concessione, ad evitare di proporre soluzioni perché viste come segni di debolezza.
In Medio Oriente, del resto, non è difficile sentirsi insicuri, specialmente negli ultimi anni. Non ci vuole un grande statista per indicare agli israeliani i rischi cui ora sono sottoposti. Basta affacciarsi, letteralmente, dal confine nord per vedere sul Golan le bandiere dell’Isis.
È paradossale: si dice che la destra in Israele abbia vinto perché più affidabile sul tema della sicurezza, invece la destra ha vinto perché più affidabile a diffondere insicurezza e più abile a togliere la speranza di un cambiamento.
Il messaggio di Netanyahu agli israeliani è il seguente. Primo. Ringraziate di esistere perché tutti gli arabi ci vogliono morti e il resto del mondo è antisemita. Secondo. Qualsiasi cambiamento della situazione attuale è un potenziale rischio per Israele, l’unica cosa che può cambiare è la grandezza degli insediamenti israeliani in Cisgiordania perché chi vive lì ha bisogno di spazio. Terzo. L’Iran si sta facendo la bomba atomica ma il mondo e gli Stati Uniti se ne fregano, quindi il rischio in futuro potrebbe essere maggiore, ergo: il nostro problema non sono i palestinesi ma gli iraniani.
Tutto ciò ha portato, in ordine sparso, a: un aumento degli episodi di violenza e razzismo nei confronti della minoranza araba israeliana. Ad un enorme numero di violenze, sabotaggi, atti di vandalismo contro gli arabi della Cisgiordania ad opera di gruppi di coloni esagitati. Episodi in grandissima parte rimasti impuniti. E ad un assoluta inerzia del governo israeliano, impegnato solo a difendersi di fronte al mondo additando i rischi cui il Paese è sottoposto senza proporre nessuna soluzione. Il problema però è che l’immobilità e la chiusura portano alla violenza.
Israele mantiene sotto occupazione militare un territorio in cui si muovono circa due milioni e 800 mila palestinesi. Molti di questi devono quotidianamente attraversare controlli e check point israeliani per compiere normali spostamenti. Un altro milione e 600 mila arabi vive chiuso dentro Gaza, ostaggio dei terroristi di Hamas, e reduce da tre devastanti guerre in sei anni. E più di un milione e mezzo di arabi israeliani, che certamente hanno condizioni di vita di gran lunga migliori a quelle di un altro palestinese medio rifugiato in un altro paese arabo, vive ogni giorno discriminazioni dal governo che fornisce loro meno sussidi, servizi, assistenza.
Siamo veramente certi che lo status quo sia la condizione più sicura in prospettiva? Una nuova ondata di violenza sembra quasi inevitabile, se non si rischia, non si osa ora, se non si approfitta delle divisioni che indeboliscono adesso il mondo arabo.
Siamo sicuri, da ebrei, di poter giustificare ogni cosa, ogni ingiustizia, con la scusa che altrimenti “quelli” ci vogliono morti, e che “loro fanno molto peggio”?
Israele e molti israeliani continuano a paragonarsi ai vicini, ai paesi arabi. Beh, non è difficile uscirne bene. Sarebbe terribile se fosse il contrario. Dovremmo invece forse paragonare la negazione di una speranza di soluzione con la nascita di due Stati; e paragonare i nuovi episodi di violenza e di fascismo – ad opera di alcuni giovani coloni – ai valori spirituali e morali dell’ebraismo, quegli stessi valori con cui ognuno di noi è cresciuto. E non credo che il confronto sarebbe gratificante.
Renato Coen, 38 anni, è capo della redazione esteri di Sky TG24 ed è stato corrispondente dal Medioriente per quattro anni. Da oggi terrà un blog sul sito www.mosaico-cem.it.