di Naomi Stern e Paolo Castellano
“Se conoscere è necessario ma comprendere è impossibile, per noi è importante ricordare sempre e con tutti i mezzi, dallo studio all’arte. Questo è un impegno che ci prendiamo. Noi non negheremo mai quello che è successo”.
Al Conservatorio di Milano si è aperta con queste parole la serata organizzata in occasione della celebrazione della quindicesima Giornata della Memoria e che ha avuto come tema la musica della memoria. Presenti in sala Roberto Jarach, vicepresidente UCEI e del Memoriale della Shoah, seduto accanto al presidente CEM Walker Meghnagi, Piergaetano Marchetti, presidente della Fondazione Corriere della Sera. La presenza istituzionale di assessori e membri del Consiglio comunale era davvero nutrita.
Fiona Diwan, direttrice del Bollettino e del sito Mosaico, e presentatrice della serata, confessa di essere emozionata e molto onorata di condurre un evento così importante, che cade nel settantesimo anniversario dalla liberazione di Auschwitz.
Il 2015 segna anche i 100 anni dal genocidio armeno. Fiona Diwan ricorda che è stato proprio uno storico ebreo a coniare la parola “genocidio”, in riferimento alla tragedia degli armeni: una parola che ha avuto un decorso tragico.
Prende la parola Ferruccio de Bortoli, direttore del Corriere della Sera e del Memoriale della Shoah di Milano.
Il suo discorso ha come fulcro la distinzione tra una memoria spenta e una memoria attiva.
“Come ogni anno ci ritroviamo numerosi. E come ogni anno ci poniamo delle domande sul tema della memoria. Una memoria che deve esser tenuta viva. Non si deve ricorrere a celebrazioni retoriche. La giornata della memoria non è una ricorrenza che deve essere sentita come un dovere. Non è la giornata degli ebrei ma è la giornata della memoria italiana, di tutti.
L’Italia ha fatto meno di altri Paesi i conti con la propria storia.
C’è stato sì un forte contributo della Resistenza ma non mancarono la complicità, la viltà.
Primo Levi diceva che dietro ogni ebreo deportato ma anche salvato c’è un gesto di un concittadino.
Molte volte mi sono domandato come mi sarei comportato se fossi stato giornalista in quel periodo storico.
È facile avere pregiudizi. È facile essere condizionati dalla propaganda nazionalista. L’indifferenza è il primo segno maligno delle persecuzioni, allora come anche oggi.
È fondamentale che la memoria stimoli la conoscenza e attenui i luoghi comuni che più di ogni dove, dominano la rete. La rete è infatti una pericolosa fonte di leggende, insulti razzisti e antisemiti. Si tende a trovare il colpevole semplicemente. A classificare i buoni e i cattivi.
È la Memoria attiva che fa vivere ancora tra noi le vittime. Una memoria spenta è peggio dell’oblio. L’antisemitismo è una malattia moderna e l’idea diffusa che siamo buoni perché stiamo meglio e siamo più istruiti è solo una favola.
Non servono leggi e divieti, norme repressive, serve una memoria attiva e al passo coi tempi”.
Prende poi la parola il Sindaco di Milano, Giuliano Pisapia.
“Ieri ero a Palazzo Reale insieme a 200 studenti. Quello che è successo è stato per me un grande insegnamento. Mentre si svolgeva la conferenza, alcuni ragazzi guardavano il cellulare, altri avevano una faccia sfottente. Ma quando hanno sentito una vera testimonianza tutto è cambiato. L’attenzione è aumentata. Ho visto degli occhi dei ragazzi che tremavano. Quando hanno sentito il racconto di come veniva impresso il numero di matricola sul braccio sinistro dei deportati ho visto delle lacrime. Ho visto lacrime scendere dopo aver sentito che la persona non era più una donna ma solo un numero.
È importante che i testimoni ci accompagnino per tanto tempo ma sappiamo tutti che non sarà così per sempre. Attraverso il racconto, le foto e la musica si deve dare un messaggio.
È vero che in quegli anni tanti si sono voltati indietro e non hanno fatto nulla. È vero che i grandi giornali, quando sono state approvate le leggi razziali, hanno aperto titolando la prima pagina con frasi quali: ‘Entusiasmo in Parlamento!’.
Non ci si volta dall’altra parte. La prepotenza va fermata all’origine. Ci vuole la capacità di reagire con la forza della ragione. Ci deve essere la possibilità di far cambiare idea a coloro che hanno idee malvagie.
La buona musica ha il potere di farci sognare un mondo migliore e una società più giusta”.
Dopo il sindaco milanese, prende la parola Rav Alfonso Arbib, Rabbino capo di Milano.
“Il Giorno della Memoria capita sempre mentre leggiamo in Sinagoga i passi della Torà in cui si parla degli ebrei in Egitto. Ci sono vari elementi comuni tra quei passi e quello che è successo. L’inizio del libro dell’Esodo ci racconta che la popolazione ebraica era integrata in Egitto ed era diventata importante. Dopo due versi improvvisamente c’è l’inizio della persecuzione. È successo qualcosa di simile in Italia. La popolazione ebraica era integrata e accettata nella società, si sentiva italiana. Improvvisamente si è trovata davanti alle leggi razziali. Ma anche in Germania è successa la stessa cosa: Berlino prima della salita di Hitler è stata un centro di immigrazione ebraica. Intellettuali ebrei andavano lì anche emigrando da Israele!
Ma forse, allora, non è andata proprio così!
È plausibile pensare che qualcosa sia successo ma che il testo non ce lo racconti. Non c’è nessuna traccia, nessun racconto: perché? Perché nessuno ci fece caso. Né gli ebrei né gli egiziani, nessuno.
Allo stesso modo la propaganda antisemita c’era, Hitler lo aveva dichiarato.
Ci sono stati episodi prima lievi ma che poi sono continuati. Si è scelto di non vedere anche quando gli episodi sono diventati eclatanti, come nel caso della Notte dei Cristalli.
Non sono mancati segnali percepiti e davanti ai quali si è chiuso gli occhi.
Dopo i fatti di Parigi siamo ancora tutti scioccati. Anche qui siamo davanti a segnali non visti. Sinceramente non ero stupito davanti a quello che è successo al supermercato kasher. Mi aspettavo che dopo Charlie Hebdo sarebbe successo qualcosa anche in ambito ebraico. E questo non perché sono un veggente, ma perché il pericolo era evidente.
Non vedere e non cogliere determinati segnali può essere molto pericoloso.
Inizia l’assuefazione alle cose. C’è un pericolo. Ormai ce lo aspettiamo.
L’odio antiebraico è una storia che risale a millenni fa. Di complotto ebraico si parla da sempre. Ogni volta l’odio anti ebraico ha avuto una sua maschera. Dobbiamo imparare a togliere queste maschere. Renderci conto che l’odio anti ebraico ha sempre avuto una giustificazione. Dobbiamo smascherare questa giustificazione”.
Riprende la parola Fiona Diwan facendo notare come la didattica della Shoah sia fondamentale.
“La memoria deve essere attiva e non spenta. La memoria non deve cristallizzarsi. L’importanza del presente è quella di far nascere dalla memoria qualcosa di vivo. E questo è possibile solo se non ci dimentichiamo di ciò che sta succedendo oggi. La Francia è un paese dai lumi spenti.
Se ci fossero stati solo i morti del supermercato kasher, l’Europa sarebbe scesa in piazza? Questa è una domanda che ci poniamo tutti e a cui non sappiamo rispondere.
La rassegnazione è un rischio molto grande, anche perché l’antisemitismo fa parte della memoria della storia del nostro continente.
Quello che è stato lo choc e la mobilitazione generale avvenuta dopo il 7 e il 9 gennaio possono farci pensare che ci siano degli anticorpi vivi e che funzionano. E questa è sicuramente una cosa positiva”.
Viene invitata a salire sul palco del Conservatorio di Milano l’attrice Anna Nogara a cui è affidato il compito di leggere dei brani tratti dalle testimonianze di Goti Bauer, Nedo Fiano e Liliana Segre.
È poi il turno dell’assessore alla cultura della comunità ebraica, Daniele Cohen, di salire sul palco e consegnare le targhe celebrative ai familiari dei sopravvissuti.
“Sono emozionato, commosso e onorato di consegnare queste targhe. Rappresento la Comunità Ebraica di Milano e il riconoscimento che consegno oggi è con un pensiero a Parigi. La data scelta per celebrare ogni anno il Giorno della Memoria è una data straniera che riguarda fatti e luoghi lontani dall’Italia e che per questo può farci sembrare estranei i fatti stessi. Non dobbiamo pensare che la Shoah sia responsabilità degli altri. Non a caso la parola ‘Indifferenza’ scritta a caratteri cubitali apre il Memoriale della Shoah di Milano, alla Stazione Centrale. Un dettaglio importante che ha fortemente voluto Liliana Segre.
Al “mai più, mai più!” di ieri, si accompagna la domanda di oggi: “perché ancora?”
Ringraziare significa apprezzare il bene ricevuto. Dai superstiti abbiamo ricevuto un bene grande, la loro testimonianza, che forma la coscienza di tutti coloro che hanno avuto il privilegio di ascoltarli e che porteranno sempre nel cuore. E per questo motivo concludo dicendo: Grazie, grazie, grazie!”.
La figlia di Goti Bauer riceve la targa, e dice: “Sono orgogliosa”. Il figlio di Liliana Segre ringrazia e racconta: “Nostra mamma ci ha insegnato a camminare un passo davanti all’altro e questo ci insegnerà a ricordare per sempre”.
Il giovane nipote di Nedo Fiano conclude la prima parte della serata con una frase estremamente significativa: “Questo è un giorno di riflessione. Oggi è la prima volta che il Nonno non fa nessun tipo di testimonianza. Tutto questo ci fa riflettere sul nostro ruolo e sul nostro futuro”.
(Naomi Stern)
Le note del Ricordo
La musica scioglie il cuore e rinvigorisce i ricordi. Possiamo affermarlo dopo l’emozionate Commemorazione del XV giorno della Memoria svoltasi presso il Conservatorio di Milano.
Simbolica è la scelta del luogo che ha ospitato l’evento. Come hanno spiegato gli organizzatori una scuola di musica, ma anche la scuola in generale, per sua essenza ha il dovere di tramandare la cultura e rinverdire la memoria quando essa corre il rischio di museificarsi. Tenere vivo il ricordo significa ricercare validi strumenti di trasmissione per far breccia nella coscienza dei più giovani. L’arte infatti rappresenta uno dei mezzi più efficaci per tramandare alle nuove generazioni il valore del ricordo. La riflessione è stata rivolta ai numerosi cittadini seduti in sala.
Lydia Cevidalli, ideatrice dell’evento Giorno della Memoria al Conservatorio, ha espresso un pensiero profondo: «Siamo molto contenti di accogliervi e speriamo di poter esprimere con la musica e con gli insegnamenti che noi diamo, i principi di civiltà e cultura che – voi e noi insieme – desideriamo portare avanti e disseminare anche nelle altre società e nelle altre culture perché qualunque cosa succeda i germi del passato non possano essere dimenticati».
La musica è stata la protagonista della seconda parte della serata. Si sono esibiti sul palco gli studenti del Conservatorio che hanno suonato due composizioni (Dove vola l’avvoltoio e Festa d’aprile) del musicologo Sergio Liberovici e altre musiche legate alla figura di Italo Calvino. La loro esibizione si è conclusa con i brani Der Gasn Nigun e Dona Dona.
Sul palco è stato chiamato Andrea Liberovici. Il figlio d’arte ha voluto ricordare il padre che nel 1957 fondò a Torino un gruppo chiamato Cantacronache insieme a Franco Fortini, Umberto Eco, Gianni Rodari e al già citato Italo Calvino. Un gruppo che si propose di comporre insieme ad altri artisti musiche d’autore con contenuti di denuncia sociale.
Andrea ha raccontato l’origine dei brani ascoltati: «Questi brani li ha scritti quando era giovane ed erano cantati da mia mamma Margot Galante Garrone e Fausto Amodei. I testi erano stati scritti da alcuni poeti; tra questi c’erano Italo Calvino, Franco Fortini e poi tanti altri. A detta di molti, tali composizioni hanno segnato l’inizio della canzone d’autore in Italia. Mio padre ha fatto questo per tre anni e mezzo e poi ha scritto opere serie: l’ultima con Calvino e orchestrata da Luciano Berio, ma non è mai riuscito a metterla in scena. Dopo la morte di Primo Levi nel 1987 gli era stato chiesto di pensare ad una grande cantata in omaggio al grande scrittore per aprire il primo Salone del Libro a Torino. Mio padre aveva pensato ad una grande cantata con due cori di bambini ma poi non si è più fatto nulla perché non si sono trovati i fondi necessari. La cantata era stata scritta da Emilio Iora che aveva scelto nove parole dai romanzi di Primo Levi su cui aveva scritto un testo che mi ha passato nel 2008 ed io in seguito ho composto una colonna sonora. È difficilissimo far cantare quelle parole pensando anche al cambiamento antropologico riguardante la fruizione della musica: negli ultimi vent’anni siamo diventati tutti un po’ più ‘audiovisivi’. Di conseguenza ho pensato che queste parole non dovevano essere solo cantate ma potevano essere lette. Ho organizzato una partitura per strumenti musicali e un video in cui ci sono ombre illuminate dalla luce di testi chiari».
Finita la proiezione del video, l’attrice Anna Nogara ha chiuso la serata leggendo tre brani tratti dai diari di Emanuele Artom e Pino Levi Cavaglione ed alcune pagine tratte da La Storia di Elsa Morante
Lo spartito – come la letteratura – è fonte di testimonianza in potenza che passa all’atto quando i musicisti con la loro interpretazione danno vita musicale alle note vergate molto tempo fa. Note musicali che narrano una storia e un sentimento che ancora oggi sanno emozionarci. Il meccanismo del ricordo forse è proprio questo: farci battere il cuore per comprendere la nostra storia e noi stessi.
(Paolo Castellano)