di Laura Brazzo
Una ricompensa a chi segnalerà la presenza di criminali nazisti, una taglia di 25 mila euro che pende sulla testa degli ultimi aguzzini dei lager. Questa l’iniziativa che ha preso il Centro Simon Wiesenthal con Last Chance Two, un’operazione che fa discutere sul senso di cercare ancora chi, sebbene novantenne o quasi cenetenario, si macchiò dei crimini della Seconda Guerra Mondiale. Con una maxi-affissione di duemila manifesti informativi in alcune città tedesche per “stanare” e portare davanti alla giustizia gli ultimi nazisti ancora in vita, Efraim Zuroff, responsabile del Centro, spiega che «l’età dei criminali nazisti non deve rappresentare una scusante per non procedere. E non rende i loro crimini meno rilevanti». Le affissioni – sotto il motto Tardi. Ma mai troppo tardi – prevedono, nero su bianco, ricompense fino a 25mila euro a chi dia informazioni rilevanti. «Non si tratta solo di processare o condannare dei vecchietti, ma di far sapere al mondo che sono ancora in vita, impuniti e liberi malgrado il Male commesso e le vite umane cancellate. Leggo l’iniziativa del Centro Wiesenthal soprattutto come un tentativo di contrastare un fenomeno in crescita in Europa, compresa l’Italia, che è quello della “nostalgia” per il passato, nostalgia pericolosa che produce intolleranza e un nuovo antisemitismo», dice lo storico David Bidussa. Come non pensare ai neonazisti di Alba dorata in Grecia, alla vittoria dei partiti di estrema destra in Svezia e Ungheria, alla svolta massimalista e xenofoba anche nella pacifica Olanda? Alla luce di queste inquietanti vittorie politiche, con un’Europa lungi dall’essere immune dai miasmi e dai miti negativi del passato, l’operazione Last Chance Two assume un altro, dirompente, significato. Se vogliamo costruire un’Europa capace di guardare al futuro e nel contempo fare i conti con il proprio passato, aggiunge Bidussa, «dobbiamo anche essere consapevoli che ogni generazione entra in conflitto con la precedente e la costringe a fare i conti con la propria Storia e con ciò che non è stata in grado di risolvere. Oggi, all’interno di un processo di recupero della “memoria” come quello lanciato dal Centro Wiesenthal con l’operazione Last Chance Two, ci sta un nuovo processo di ricostruzione del passato che viene “riconosciuto” solo ora. E poi, spiace dirlo, l’Italia è uno di quei Paesi che non ha saputo fare i conti con la propria Storia, specie con la Seconda Guerra Mondiale. Permangono zone grigie, una rimozione: da noi, una vera presa di coscienza pubblica e collettiva di quel periodo storico non è ancora mai avvenuta. Non siamo stati finora capaci di elaborare una riflessione in cui il passato abbia un valore, un senso. Quando abbiamo ragionato sulla Shoah, abbiamo ragionato sui giusti, sui “buoni”, non abbiamo ragionato sui “cattivi italiani”, su coloro che contribuirono a spezzare migliaia di vite. Quella vicenda di vite interrotte è avvenuta perché ci furono una quantità di italiani che una mattina si alzarono e decisero di andare a denunciare il loro vicino di casa; perché poi ci furono altri italiani che lo condussero in un campo di concentramento e da lì, altri italiani, insieme ai tedeschi, che lo imbarcarono su altri treni». Secondo Bidussa, alla luce ad esempio della vicenda Priebke, emerge in maniera lampante «la nostra incapacità culturale di fare i conti con il passato e di capire cosa conta di quel passato, e come si riverbera nel nostro presente. Per farlo è necessario ricostruire uno scenario e le sue dinamiche. E invece noi consideriamo le stragi avvenute in Italia fra il 1943 e il 1945 come se non riguardassero davvero noi, la nostra storia culturale, emozionale, nazionale, personale, la storia delle persone di questo Paese».