Serviva una maggioranza qualificata di nove voti favorevoli, ma non sono arrivati e così non è stato necessario neppure il veto degli Stati Uniti per respingere la mozione palestinese, che chiedeva “la fine dell’occupazione”, il ritiro israeliano nei confini del 1967, da effettuarsi entro il 2017. Otto i voti favorevoli, due contrari e cinque astensioni.
Il consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha così respinto la risoluzione sul riconoscimento della Palestina e contro Israele.
A favore si sono espressi Cina, Francia, Russia, Argentina, Ciad, Cile, Giordania, Lussemburgo; due contrari, USA e Australia, mentre i cinque astenuti sono il Regno Unito, Nigeria, Corea del Sud, Lituania, Ruanda.
Fino all’ultimo minuto è stato incerto il voto della Nigeria, che è passata da un probabile “favorevole” all’astensione. Il motivo va forse ricercato nella necessità di evitare agli Stati Uniti l’utilizzo del diritto di veto, che avrebbe potuto mettere in crisi la coalizione che vede America e Stati arabi “moderati” uniti nella lotta allo Stato Islamico del Califfo Al Baghdadi.
L’ambasciatrice Usa all’Onu, Samantha Power, ha dichiarato che la mozione “anziché dare voce alle aspirazioni di palestinesi e israeliani, rispondeva alle esigenze di una sola parte”.
La decisione palestinese di sottoporre al voto del Consiglio di Sicurezza una risoluzione non concordata, che non aveva la possibilità di essere approvata, indica che si trattava solo di una manovra propagandistica rivolta all’opinione pubblica palestinese, e non un serio tentativo di far avanzare il processo diplomatico. Lo hanno affermato martedì sera fonti diplomatiche israeliane citate dal Jerusalem Post.
Il portavoce del Dipartimento di Stato Usa, Jeff Rathke ha dichiarato: “Non pensiamo che questa risoluzione sia costruttiva. Pensiamo che stabilisca scadenze arbitrarie per il raggiungimento di un accordo di pace e per il ritiro di Israele dalla Cisgiordania, e che questo tenda più a troncare negoziati utili anziché portarli a buon fine. Inoltre riteniamo che la risoluzione non tenga conto di legittime esigenze di sicurezza di Israele, cosa ovviamente necessaria per una soluzione sostenibile”.
Insomma, un tentativo di evitare il confronto e il negoziato diretto con Israele, con una forzatura diplomatica che non ha trovato riscontro nel voto del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.