di Carlotta Jarach
“Dimenticati laggiù, sulla loro montagna. Fin dalla notte dei tempi gli ebrei etiopi chiamati Falascia sognavano un giorno di tornare a casa”. Questo l’incipit di Vai e vivrai, il film diretto da Radu Mihăileanu che racconta di un giovane bimbo che riesce a fuggire dall’Etiopia fingendosi ebreo.
Era il 1984 infatti quando in Israele si dava avvio all’Operazione Mosè, il piano segreto per salvare oltre 8000 ebrei etiopi con aerei El Al. Sono passati oltre 30 anni, e in Etiopia la comunità ebraica è fortemente in crisi. Ne dà tra tutti notizia Ynetnews, definendo la situazione per chi è rimasto nella capitale etiope Gondar e a Addis Abeba di “assoluto pericolo mortale”. Nonostante le innumerevoli richieste a Netanyahu, il Governo non sta aiutando gli oltre 9000 falascia in difficoltà. Tra le lettere, quella scritta dal Presidente del movimento “The Fight to Bring the Jews of Ethiopia” Yitzhak Mola: la situazione, afferma Mola, è tale per cui non è più garantita la sicurezza nel paese africano per la minoranza ebraica, e diventa necessario un ricongiungimento con le famiglie in Israele.
“I miei fratelli vivono nella paura”, dice il 22enne Surfal Almo, paracadutista in congedo, in Israele dal 2006. “Hanno problemi relativi all’acquisto di cibo”, continua, “sono sotto assedio, con spari e scontri non lontano da casa”. Polemiche le parole di Almo, che ricorda i discorsi dopo Parigi, quando Bibi proponeva ai francesi di rifugiarsi in Israele, “mentre nessun politico ora si cura della situazione etiope” commenta ancora Almo.
Risale ad un anno e mezzo fa la decisione di congelare il progetto d’aiuto, anche se sembrerebbe, grazie alle pressioni del Likud, che verrà ripreso nell’immediato futuro. Tuttavia la situazione non è semplice, anzi sembra che ogni aspetto sia motivo di discordia, a partire dal numero effettivo di falascia da portare in Israele. In tutto questo sono passati nove mesi da quando il gabinetto aveva autorizzato il ritorno degli ebrei etiopi .