Si aggrava giorno dopo giorno lo scontro fra Israele e Hamas, e la paura di tutti è che si sia solo all’inizio.
Israele è ormai da giorni bersaglio di centinaia di missili lanciati ogni giorno da Gaza anche su zone centrali, mentre si aggrava il bilancio delle vittime nella Striscia di Gaza nel quarto giorno dell’operazione: almeno 80 morti e più di 600 feriti dall’inizio della operazione Margine Protettivo.
Attacchi anche dal nord
Solo dalla notte di giovedì sono arrivati 350 missili su Israele, di cui 90 intercettati dal sistema Iron Dome. Il bersaglio non sono più solo le regioni del Sud, come purtroppo avviene da tempo – ma anche le zone più centrali: nei giorni scorsi le sirene avevano cominciato a suonare anche a Tel Aviv e Gerusalemme. Ma ora anche Haifa, la città più popolosa nel Nord di Israele, (a 160 chilometri da Gaza) è sotto tiro: nella notte di giovedì le sirene di allarme sono risuonate, causando la morte di una donna di 80 anni, sopraffatta dallo spavento. In mattinata sono iniziate
le ricerche dei resti di due razzi. Da Gaza, la Jihad islamica ha rivendicato l’attacco.
Ma gli attacchi cominciano ad arrivare anche dal Libano. Nella notte di giovedì un proiettile è stato sparato sul nord di Israele. «È caduto in un’area aperta vicino a Kfar Yuval tra le città di Metula e Kiryat Shmona», ha affermato un portavoce militare senza specificare se sia si trattato di una munizione di mortaio o di un razzo.
E mentre stiamo scrivendo (venerdì mattina), nella cronaca real time di Times of Israel si legge di missili lanciati e intercettati in tutta l’area di Tel Aviv. Quattro di questi sono stati lanciati in direzione dell’Aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv: si tratta di M75, missili che hanno una gittata di 75 km, e il cui lancio è stato rivendicato in mattinata da Hamas. Ma le sirene continuano a suonare anche ad Ashdod, dove si contano 8 feriti fra i civili, e nel sud del Paese.
Dal canto suo, dall’inizio dell’operazione militare l’esercito israeliano ha colpito più di 1000 bersagli nella Striscia di Gaza.
Giovedì in serata il premier Nethanyahu ha avvisato di prepararsi per un conflitto lungo, mentre forze di terra vengono concentrate al confine con Gaza per un possibile attacco terrestre.
Dal canto suo, Hamas mantiene la linea dura. «Siamo pronti a combattere per mesi», è l’avvertimento del dirigente di Hamas Mahmud a-Zahar in un’intervista telefonica ad una emittente di Gaza. «Un cessate il fuoco – ha aggiunto -, dovrà rispettare le nostre condizioni, come la rimozione del blocco di Gaza e la liberazione dei detenuti arrestati il mese scorso. Stiamo scrivendo una nuova pagina, e il nemico dovrà sottoscriverla». «Non abbiamo paura delle minacce del nemico. Il sangue dei leader non ha più importanza del sangue dei bambini e delle famiglie» ha invece affermato il leader di Hamas a Gaza, Ismail Haniye.
La paura di un’ulteriore escalation del conflitto regna su tutto e tutti. Lo stesso presidente americano Obama, in una telefonata al premier israeliano, ha condannato i lanci di razzi su Israele, esprimendo però preoccupazione per il rischio di un aggravamento della situazione.
E anche dall’Italia arrivano messaggi preoccupati. Il Presidente della Camera Laura Boldrini, sulla sua pagina Facebook, auspica un’iniziativa immediata dell’Unione Europea: “La spirale di violenza in Medio Oriente sta crescendo in modo sempre più allarmante. Se non si fermerà, se tutti non faranno un passo indietro, non si potrà sperare nell’affermazione del principio di due popoli e due Stati, né nella possibile pace duratura auspicata da tanti. Il rancore alimentato dall’assassinio di giovani innocenti, che ha portato lutto e dolore in Israele come nei Territori Palestinesi, determina reazioni sempre più violente, con il concreto pericolo che a breve tutto ciò degeneri in una guerra aperta e destabilizzante per l’intero Mediterraneo. In questa situazione le ragioni di ognuno si perdono e a pagare sono tutti, soprattutto i civili inermi – conclude la Boldrini -. A gennaio, nel corso di una missione in Israele e nei Territori Palestinesi avevo avuto modo di constatare quanto fosse necessario che l’Europa esercitasse il suo ruolo nei negoziati di pace, oggi del tutto bloccati. L’iniziativa dell’Unione può e deve essere
immediata e attiva affinché sulla violenza prevalga il dialogo e il confronto».