di Bianca Salom
Gariwo arriva, per la prima volta, in Israele, a Ra’anana, in un convegno alla Open University (4-5 novembre 2014), con lo scopo di discutere di Shoah e del genocidio in Rwanda; tra i relatori, il professore Yehuda Bauer, un vero innovatore in materia. Gabriele Nissim, che di Gariwo è presidente e fondatore, realizza così un obiettivo della sua lunga battaglia: «Questo convegno è una vera e propria rivoluzione culturale che vuole ribaltare il rapporto che l’israeliano ha nei confronti della Shoah». Il tema? Discutere e rovesciare l’idea, talvolta retorica, della Shoah come evento storico unico nel suo genere. Si rischia, così facendo, di non cogliere il vero significato del suo ricordo, del perché sia importante la Memoria: ovvero non solo quello di combattere l’antisemitismo, ma anche quello di prevenire qualsiasi altro tipo di genocidio futuro, in modo tale che non si ripeta mai più una catastrofe di questo genere.
In Israele si tende ad tramandare il ricordo della Shoah, nelle scuole, in modo unilaterale; certamente è giusto che la Shoah sia ricordata come il genocidio più estremo e brutale, in quanto calcolato e messo in atto in modo industriale e nel pieno di una società che si credeva “civilizzata”. Ma parlare della sua unicità, dimenticando gli altri massacri della storia, e anche le altre vittime dello sterminio nazista, ha portato nello studente israeliano ad una visione vittimistica di se stesso, quasi come se fosse vittima designata nella storia. Questo lo ha reso quasi insensibile alle catastrofi degli altri popoli.
Yair Auron, professore della Open University, all’apertura della conferenza esordisce con queste parole: «È la prima volta in settant’anni che in Israele discutiamo degli altri genocidi e che guardiamo alla Shoah con occhi diversi»; e la giovane ricercatrice Noam Shouster aggiunge: «Ho dovuto superare un muro di incomprensione, quando mi sono avvicinata alla tragedia rwandese, era come se stessi mettendo in discussione il primato della sofferenza ebraica».
Questo convegno quindi, è stato importante per aver ribaltato il concetto di “Memoria”, intesa non solo come il ricordo passivo della tragedia che è stata, ma attribuendogli una parte attiva, in cui il compito più importante è evitare che qualsiasi massacro di qualsiasi popolazione, etnia o gruppo politico si verifichi in futuro: mai più.
Yehuda Bauer ha voluto attuare una rivoluzione semantica, in cui preferisce usare il termine “atrocità di massa” piuttosto che genocidio, perché quest’ultimo, comprendendo solo crimini dal carattere etnico e nazionale, esclude tutti i crimini compiuti con dinamiche diverse, come per esempio il genocidio in Rwanda.
«Non dobbiamo quindi, fissarci sulla definizione concettuale della Shoah – spiega Bauer -, ma porci il problema della prevenzione di tutte le atrocità di massa che colpiscono il pianeta, in quanto i genocidi fanno parte della storia, e se vogliamo ricordare la memoria della Shoah, dobbiamo impegnarci a trovare strumenti politici e culturali per prevenirli. Tutto il resto sono solo parole vuote».