Trio Lescano: la curiosa parabola di tre olandesine ebree nell’Italia fascista

Personaggi e Storie

di Maria Eleonora Tanchis

Leggende della musica italiana, donne intraprendenti, ballerine acrobatiche, bellezze malinconiche, primo “girl group” nella storia della musica europea. Il nome? Illustre, anzi illustrissimo: il Trio Lescano (il cognome, Leschan, fu italianizzato per evitare problemi con il regime). Non tutti sanno infatti che le tre sorelle Sandra, Giuditta e Kitty erano ebree. Figlie di un contorsionista ungherese e di una cantante d’operetta ebrea, provengono da una famiglia di artisti e musicisti. Nate e vissute in Olanda, dove, per guadagnarsi la vita dopo l’incidente che invalidò il padre, si inventano una formazione di ballo acrobatico. Nel 1935 sbarcano in Italia e trovano l’America: in brevissimo tempo diventano le cantanti swing più famose del Paese (fra il 1936 e la fine del 1942 incidono più di 300 canzoni). In un intervista con Natalia Aspesi sul quotidiano “La Repubblica” risalente al 1985, Sandra Lescano afferma che «nel 1939, l’anno in cui Gilberto Mazzi cantava “Se potessi avere mille lire al mese”, noi guadagnavamo mille lire al giorno. Avevamo comprato un bellissimo appartamento a Torino, possedevamo una Balilla fuori serie a quattro porte, i nostri armadi erano pieni di vestiti». Ma la favola ben presto svanisce. Benchè battezzate (nel 1938, alla vigilia dell’adozione delle Leggi razziali antiebraiche), nel ’42 cominciano ad avere i primi problemi. La casa discografica Cetra non vuole più lavorare con loro e, per sottrarsi dalla repressione, sono costrette a chiedere tempestivamente il certificato di cittadinanza italiana. Nonostante si vociferasse che il Duce fosse un loro fan sfegatato, e che facesse di tutto per salvarle dalle rappresaglie naziste, riuscirono ad ottenere il certificato di razza ariana nella categoria “misti non ebrei”, che non riuscì a salvarle da un oscuro arresto avvenuto a Genova nel 1943 (con l’accusa ufficiale di “sospetto collaborazionismo”), dove dovevano tenere un concerto. Verranno salvate dalla deportazione grazie all’intervento diretto di Umberto II, ma la loro carriera si dissolverà rapidamente. A guerra finita le tre sorelle si trasferirono in Sud America, dove non avranno più rapporti con le loro radici ebraiche e dove saranno (volutamente) dimenticate dalle ribalte italiane.

Un’avventura esistenziale e artistica la loro, ricostruita durante la bella e interessante serata organizzata dal Benè Berit, relatori Gabriele Eschenazi e Mino Chamla. Eschenazi, l’autore del libro “Le regine dello swing” (Einaudi), – da cui è stata tratta una fiction per la Rai andata in onda lo scorso inverno – non attribuisce il loro destino alla loro appartenenza alla religione ebraica (che non fu poco sentita e praticata dalle tre ragazze), né tantomeno ad un tentativo di insabbiare la loro storia. Esse erano semplicemente “troppo” moderne per il panorama musicale italiano che si affermò negli anni ’50 in Italia, con le prime edizioni del Festival di Sanremo. All’estro vocale del Trio Lescano (che spazia dallo swing, al jazz, alla rumba fino al fox-trot) viene preferito un timbro vocale più melodioso e meno impegnativo (non a caso sono gli anni d’oro di Nilla Pizzi). La loro fu una storia “rosa-nera”, costellata da punti oscuri che la rendono misteriosa ed affascinante. Le tre sorelle Leschan appaiono oggi personaggi astratti e sicuramente non esemplari nell’ambito della tragedia della Shoah. Ma, come le storie di altri milioni di individui, la loro vicenda mette in luce il potere inquietante e fatale del caso.