di Roberto Zadik
Martedì 15 gennaio il cinema Anteo di Milano, pieno di gente, ha ospitato l’anteprima di un film di grande profondità “Il figlio dell’altra”. La serata è stata organizzata con grande successo di pubblico, dall’assessorato alla Cultura della Comunità ebraica, da Daniele Cohen e da Franco Modigliani.
Il film, ambientato in Israele e diretto da Lorraine Levy – sorella del bravo scrittore Marc Levy – e prodotta da Rapsodie Production e Citè Films, analizza il conflitto israelo-palestinese in maniera assai originale riproponendo l’antica tematica dello scambio d’identità, argomento ricorrente nella letteratura e nel cinema.
Protagonisti della vicenda, Joseph, (il bravo Jules Sitruk) ragazzo ebreo, rockettaro e un po’ ribelle, di famiglia francofona, i Silberg, che poco prima del servizio militare fa le analisi del sangue e scopre di non essere il figlio dei suoi genitori; e Yacine (Mehdi Dehbi) coetaneo palestinese della Cisgiordania che si è trasferito a Parigi per studiare medicina. Com’è possibile che Joseph abbia un gruppo sanguigno diverso da quello della madre Orith (impersonata dall’espressiva Emanuelle Davos)? Dopo essere state convocate dal medico dell’ospedale di Haifa, le due famiglie i Silberg e gli Al Bazaaz, scoprono che per errore il 23 gennaio 1991, durante i bombardamenti della Guerra del Golfo, i loro due figli, appena nati ed evacuati per metterli in salvo, per un tragico errore furono scambiati. Questo scoperta sconvolgerà le vite dei due ragazzi, che cercheranno, nonostante le differenze culturali enormi che li separano, di fare amicizia fra loro e di abbattere le barriere che li dividono. Il loro avvicinamento indurrà anche le famiglie a cercare un dialogo e a superare gli ostacoli culturali e differenze linguistiche che li separano. Orith e Amina ( la madre di Yacine) da subito cercano di trovare un punto d’incontro. I due padri – il rigido Alon, ufficiale dell’esercito israeliano, e Bilal – così come il fratello di Yacine, sono invece più chiusi e sospettosi.
I temi sono quelli della famiglia, dell’identità, dell’educazione, fino alla politica. Anche se sono i sentimenti a prevalere, il film infatti riflette sulla realtà israelo-palestinese nel suo complesso: c’è il tema del servizio militare, dei check point, del Muro – territoriale e culturale che divide i protagonisti – delle città, delle case, dei luoghi in cui i protagonisti vivono: il villaggio di Yacine da una parte, la convulsa e vivace Tel Aviv con le sue spiagge e i suoi locali notturni, dall’altra. Tensione emotiva e ritmo coinvolgente, bravissimi tutti gli attori, immersi in maniera credibile e sobria nella trama sostenuta da una regia brillante che qualche volta però scade nella ripetitività; il finale rimane aperto a varie interpretazioni. Da vedere assolutamente.
Nelle sale a partire dal 31 gennaio.