La valigia dei destini incrociati

Libri

di Roberto Zadik

Raccontare gli orrori del fascismo con profondità e sintetica poesia, non è un impresa facile e  ci sono riusciti in pochi, film come “Train de vie” di Radu Mihăileanu e “La vita è bella” di Roberto Benigni.  Questo il grande sforzo -perfettamente riuscito- compiuto da Alessandro Izzi, critico letterario, che con il testo “La valigia dei destini incrociati” (edizioni deComporre, pp. 104, 10,00 euro), trasformato in spettacolo teatrale dal regista Maurizio Stammati, riporta la mente del lettore direttamente agli anni Quaranta in una piccola stazione.

In quel luogo anonimo e quotidiano, frenetico di passanti e viaggiatori che ignorano quanto accade nei lager, in un’Italia dominata dalla ferocia del fascismo si scopre “la banalità del bene”. Due persone normali come un fattorino e un capostazione che fanno del bene salvando un piccolo bimbo ebreo dagli orrori del fascismo, nascondendolo in una valigia. Il testo, diretto ai bambini e agli adulti, di poche pagine  toccanti e ben scritte, ha come protagonista il piccolo David, personaggio  ispirato a una storia vera, quella di un bambino ebreo polacco, David Efrati, scampato allo sterminio del Ghetto di Varsavia.

Stralunato e sognatore il personaggio di Angelo, il fattorino, che parla “il valigiese” -come dice lui- e nella sua solitudine impara il linguaggio di quelle valigie che nella  loro geometrica forma nascondono il segreto di un fanciullo nascosto, incontrato per caso  e ricercato dai fascisti. Alla stazione infatti arrivano Roberto, insegnante di educazione fisica e invasato sostenitore di Mussolini (che ha una storia d’amore con la cassiera della stazione, Alessia, che prima lo affiancherà nei suoi deliri antisemiti per poi contrastarlo sempre di più), assieme a generali delle SS e Kapò che irrompono scendendo dai treni e parlando tedesco. Nella narrazione agile e ben costruita non mancano suspence, ironia  e colpi di scena, così come riferimenti al cinema di quell’epoca, all’attrice Anna Magnani, icona del lungometraggio italiano e al regista Bragaglia, in un dramma che ha il sapore e il rivestimento della commedia brillante ma impegnata, seguendo il registro adottato da Benigni.

Ci sono dunque alcune scene davvero efficaci in questo libro|spettacolo, concentrato in un atto unico e portato in giro lungo la Penisola in questi mesi da Izzi e dal regista Stammati. Come quando Roberto,  insegnante fascista, nella scena finale chiede a Michele e Angelo di consegnarli il bimbo ebreo e perfino la sua amante, la cassiera Alessia, si ribella: “A dieci anni un bambino può essere solo un bambino. Se vuoi acciuffarlo dovrai passare sopra il nostro fidanzamento”. Molto intense diverse scene di un testo scritto per il teatro che sembra adattarsi perfettamente anche ad  una lettura come semplice racconto, oppure come rievocazione storica ma con un linguaggio semplice e al tempo stesso diretto e quasi poetico, che non nasconde ma -anzi rafforza ancora di più- l’assurda atrocità di quelli anni ancora oggi inspiegabili.

Nel testo compare anche  “In questa notte senza Luna”, una piccola gemma che in qualche modo è il proseguimento dell’altro atto, ma ha come protagonista un violinista che suona davanti al pubblico; sembra essere quel bimbo, il piccolo David. Il musicista accoglie i viaggiatori che arrivano e porta con sé le valigie, quelle in cui era stato nascosto e che gli hanno permesso la fuga per la vita.