Nel segno di Sara

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All’inizio del Novecento la condizione della donna era ancora quella tradizionale di moglie e madre. Eppure molte di loro avevano scelto e potuto esprimersi liberamente in tutti i rami artistici, ottenendo straordinari risultati. La mostra Artiste del Novecento tra visione e identità ebraica, proposta dalla Fondazione Beni Culturali Ebraici in Italia con il Museo ebraico di Roma e la Galleria d’Arte Moderna (GAM) di Roma Capitale, vuole proporre al grande pubblico la ricchissima produzione artistica di una parte di queste artiste. La mostra, che ha ottenuto il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività culturali, è ospitata nelle sale della GAM di Roma dal 12 giugno al 5 ottobre, ed è curata da Marina Bakos, Olga Melasecchi e Federica Pirani.

«La mostra nasce grazie a due felici coincidenze. – dice Annie Sacerdoti, vice presidente della Fondazione e tra i responsabili europei della Giornata europea della cultura ebraica – L’anno passato, la Comunità ebraica di Padova aveva organizzato la mostra Ebraicità al Femminile – otto artiste del Novecento, richiamando per la prima volta l’attenzione sulla realtà artistica al femminile inserita in un contesto ebraico. La seconda coincidenza è il tema della Giornata europea della cultura ebraica che, per il 14 settembre, ha scelto “La donna nell’ebraismo”. Da qui, come Fondazione, abbiamo pensato di partire dall’idea della mostra padovana (curata da Marina Bakos che è anche tra le curatrici della nuova esposizione), ampliandola e trasformandola, offrendo al grande pubblico una manifestazione di ampio rilievo per la Giornata europea della cultura ebraica». Per il sindaco di Roma Ignazio Marino «proporre nella Galleria d’Arte Moderna di Roma Capitale, una mostra dedicata ad artiste del Novecento, diverse per formazione e per ambiente, ma unite dall’attraversamento di un territorio condiviso quale quello della comune matrice religiosa ebraica, significa riflettere non soltanto sulle specificità culturali e religiose o di genere, ma anche sulla rilevanza di ogni soggettività. La proposta, che abbiamo accolto con grande interesse e favore, ha visto per la prima volta lavorare insieme l’Amministrazione Capitolina, la Fondazione per i Beni Culturali Ebraici in Italia e il Museo Ebraico di Roma. Sono presenti anche alcune delle allieve di Giacomo Balla, che in quel particolare clima culturale e politico d’inizio secolo, intorno a Ernesto Nathan, sindaco dal 1907 al 1913, vide nascere e svilupparsi l’idea di una Capitale moderna e laica, aperta, nel segno dell’emancipazione, anche al contributo di forze innovatrici femminili».

La mostra si fonda su una ricerca capillare della produttività di numerose artiste, ebree italiane, che affermarono una propria presenza originale nel mondo della creatività e dell’arte.  C’è chi si è ispirata all’Impressionismo, come Paola Consolo, nipote di Margherita Sarfatti; chi ha portato sulle sue tele i colori mediterranei e le tracce dei suoi sodalizi artistici con gli amici Chagall, Guttuso, De Chirico (Eva Fischer); chi, come le sorelle Corinna e Olga Modigliani, si cimentò in arti particolari, come la miniatura su velluto o la decorazione della ceramica.

L’analisi, incentrata nel binomio donna ed ebraismo, si addentra in una specificità di genere, puntualizza una doppia minorità, ne esalta l’aspetto inedito di percorsi poco indagati, se non addirittura sconosciuti alla ricerca scientifica. Eppure numerose sono state le artiste che hanno saputo valorizzare il loro essere donne ed ebree nella volontà di perseguire un’identità artistica di totale autonomia e innegabile rilievo, mediando tra la dimensione pubblica e quella privata, tra l’identità religiosa e quella nazionale. Penalizzate dall’appartenenza a questa “minoranza” che ne ha condizionato l’emergere sulla scena culturale, esse si sono viste da un lato accomunate alle sorti delle loro contemporanee non ebree dal pregiudizio che sia l’uomo il solo depositario della vera professionalità; dall’altro, il ruolo che esse hanno ricoperto nell’arco dei secoli in seno all’ebraismo, le ha portate ad una posizione defilata nell’ambito sociale e, viceversa, centrale nella realtà familiare. Tuttavia seppero assumere iniziative di primo piano sulla scena artistica, forti di una tradizione per la quale il valore della cultura è basilare nella formazione individuale e collettiva.

Attorno alla figura di Antonietta Raphael, che con la forza della sua espressività (pittorica e scultorea) ci regala un patrimonio incredibilmente ricco, denso di cromatismi accesi e di volumetrie potenti, artiste quali Paola Consolo, Eva Fischer, Gabriella Oreffice, Adriana Pincherle e Silvana Weiller arricchiscono l’esposizione con differenti linguaggi e con nuove opere, il cui prestito è stato gentilmente concesso da eredi, collezionisti, Fondazioni ed Enti sia privati che pubblici. Basterebbe fra queste ricordare le due opere inedite della Raphael prestate dalla collezione Berti o i bozzetti per le vetrate di Eva Fischer (Museo Ebraico di Roma) o la Venezia di Paola Consolo del 1930 sino ad oggi restata nascosta in depositi museali. Ma c’è anche la copiosa produzione di Corinna e Olga Modigliani, Annie e Lilly Nathan (figlie di Ernesto Nathan), Wanda Coen Biagini, Amalia Goldmann Besso e Pierina Levi: tutte frequentatrici dello studio di Giacomo Balla. Nell’allestimento le opere delle allieve e di Amelia Almagià Ambron (amica del pittore e della sua famiglia) fungono da corollario a due splendidi ritratti del maestro: Ritratto del sindaco Nathan e Ritratto di Amelia Ambron.

Nel corso della mostra saranno organizzati presso la GAM (via Francesco Crispi 24) eventi letterari, musicali e gastronomici di cultura ebraica aperti alla cittadinanza e ai visitatori stranieri nella capitale, creando una sinergia tra l’istituzione capitolina e il Museo Ebraico di Roma.

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