La didattica della Shoah

Spettacolo

Seminario sulla memoria.

Dallo schermo, l’immagine video Liliana Segre racconta quanto il divieto di frequentare la scuola pubblica l’avesse improvvisamente trasformata in una diversa. “Le altre ragazzine – ricorda la testimone – incontrandomi per strada mi indicavano e dicevano fra loro: ‘Guarda, quella è la Segre, che non può più venire a scuola’”. Spenta la videoregistrazione, un brusio di commenti percorre la platea degli insegnanti riuniti, all’Università Cattolica, per il seminario La memoria della Shoah come scelta morale. L’uso dell’archivio audio-visuale dello USC Shoah Foundation Institute nella scuola.

Qualche minuto di testimonianza è bastato per comprendere come la memoria dei sopravvissuti possa essere, grazie alla mediazione del docente, strumento educativo in grado di sensibilizzare i ragazzi al taking care, a prendersi cura dell’altro. Tenutosi il 24 marzo presso l’Università Cattolica, il seminario è stato realizzato grazie alla collaborazione tra la Facoltà di Scienze della Formazione e l’Institute, in cooperazione con l’associazione Figli della Shoah. L’obiettivo era illustrare, a docenti universitari e a insegnanti, come utilizzare in classe le testimonianze audiovisive dei sopravvissuti, al fine di coltivare negli studenti una presa di coscienza sulla Shoah che passi attraverso una profonda riflessione sulle scelte morali e sull’impegno civile.

Era il 1994, quando Steven Spielberg, dopo avere ultimato le riprese di Schindler’s List, diede vita all’USC Shoah Foundation Institute for visual History and Education con lo scopo di raccogliere le testimonianze filmate di sopravvissuti ebrei, omosessuali, Testimoni di Geova, Zingari di etnia Rom e Sinti, di sopravvissuti alle politiche per il miglioramento della razza, di testimoni della liberazione, di prigionieri politici e molti altri. In cinque anni, i collaboratori della fondazione hanno raccolto 52 mila testimonianze, registrate in 32 lingue diverse e provenienti da 56 Paesi. Nel 2006, entrando a fare parte dell’University of Southern California, la Fondazione si è data l’obbiettivo di prevalere sull’intolleranza e sul pregiudizio attraverso l’uso educativo delle testimonianze audiovisive. Sono molte le università e le scuole che, soprattutto negli Stati Uniti hanno la possibilità di consultare l’archivio. L’unico accesso europeo è quello della Libera Università di Berlino. A breve, un altro accesso sarà aperto all’Università Cattolica che, dal 1994, nelle persone delle docenti di Pedagogia Rita Sidoli e Milena Santerini, conduce ricerche e attività di formazione degli insegnanti e degli educatori nel campo della memoria e della Shoah. “In questo modo – ha dichiarato Santerini – si avranno possibilità di consultazioni infinite dei materiali audiovisivi, fondamentali per insegnanti che vogliono proporre ai propri studenti un cammino di conoscenza della Shoah”.

Martin Šmok, della Shoah Foundation Institute, ha sottolineato l’importanza di un uso delle testimonianze audio-video nelle scuole: “Ascoltare e vedere un testimone che rievoca una memoria dolorosa, annulla gli stereotipi. Davanti a un ricordo personale non ci sono più ‘gli ebrei’, ‘i rom’ e così via, ma c’è l’uomo con la sua esperienza di dolore. Questo impedisce ogni generalizzazione. Il compito dell’insegnante è scegliere il materiale da mostrare ai ragazzi, in coerenza con un progetto educativo, articolato e pianificato, volto a stimolare negli studenti ulteriori domande e riflessioni sui diversi aspetti della Shoah e sul valore della memoria”. L’archivio, inoltre, attraversa la storia del XX secolo in modo trasversale. Oltre a narrare la propria esperienza di deportazione, i testimoni raccontano la loro vita prima della guerra e il successivo ritorno alla normalità. In ogni testimonianza ci sono informazioni culturali, politiche, sociali e prospettive psicologiche personali che aprono a riflessioni profonde. “Capire, dalla voce dei sopravvissuti – ha aggiunto Šmok – come si sono svolti i fatti, quali i provvedimenti che hanno portato alla perdita di ogni diritto, può essere per i ragazzi la via attraverso la quale giungere ad analizzare temi importanti nella loro stessa vita, come la giustizia, la responsabilità individuale, la partecipazione. In questa didattica della memoria, la mediazione dell’insegnate è guida delle riflessioni dello studente”.

Alla giornata hanno partecipato Goti Bauer e Liliana Segre, alle quali è stato chiesto di raccontare quali sono le domande che ricevono più spesso dagli studenti. “Sapere su quali ambiti si focalizza l’attenzione dei ragazzi – ha affermati Rita Sidoli, docente di pedagogia – ci aiuta a capire cosa essi hanno compreso e quali sono i passi che devono ancora fare per arrivare a interiorizzare il valore della memoria che ascoltano”. Secondo quanto affermano le due testimoni, i giovani sono emotivamente molto coinvolti dai ricordi, talvolta a scapito di una conoscenza profonda degli eventi storici: “Al termine della mia testimonianza – ha raccontato Goti Bauer – c’è sempre un grave silenzio fra i ragazzi e le domande stentano a emergere. Spesso, sono io a rompere il ghiaccio, anche se le domande restano comunque poche, fatte per lo più dagli studenti che hanno già lavorato in classe su questo tema. Gli interrogativi che i ragazzi si pongono sono ricorrenti e riguardano soprattutto la vita nei campi, i rapporti personali. Solo ultimamente mi sono state fatte domande più complesse riguardo al negazionismo o all’importanza della trasmissione della memoria. Molti si chiedono e mi chiedono quale dovrà essere il loro ruolo. Questo è fondamentale”. “Spesso – ha aggiunto Liliana Segre – i ragazzi mi domandano come abbiamo fatto a resistere. Io credo che, al giorno d’oggi, i giovani, troppo supportati dai genitori, non siano preparati ad affrontare le prove della vita. È necessario trasmettere loro la forza, la volontà di credere in se stessi anche quando ci si sente dire che la propria vita non ha valore. Io credo che la nostra testimonianza possa essere un insegnamento a resistere. Non si deve insistere sugli orrori di una violenza tanto efferata e sistematica. Ogni giovane è legato alla propria famiglia, alla propria casa, alla propria città. Conoscere il distacco senza via di scampo, senza ritorno, che noi abbiamo vissuto, può certamente dare a ognuno di loro il senso di cosa è stata la Shoah. Questo dolore immenso possono comprenderlo e ripiegarlo su se stessi. Questo può insegnare loro cosa è la forza”.