Una mostra fotografica allo Spazio Krizia.
«Ciao, come sto?». Con questa battuta, Woody Allen mette alla berlina legocentrismo che lo/ci contraddistingue. Tel Aviv compie centanni, e dunque: «Auguri!, come mi sento?». Mi sento bene, benissimo perché è proprio al circolo Yeshùrun che nel 1906 lorologiaio Akìva Ariéh Weiss convocò i capifamiglia del Comitato Provvisorio per la fondazione della futura Collina (tel) della Primavera (avìv), gli stessi che tre anni più tardi, sulla spiaggia, scrissero su 66 conchiglie bianche i nomi dei 66 nuclei familiari originari e su altrettante conchiglie grigie i numeri dei lotti di terra da assegnare. Estrazione a sorte, come viene viene.
Oggi posso far notare che Yeshùrun e Jesurum sono la medesima cosa, e di questo pavoneggiarmi. Oggi, Tel Aviv doppia la boa del secolo in forma smagliante – nonostante i lutti, la paura, nonostante la crisi e la povertà. Nonostante tutto. Nonostante perfino che
quando vuole, sa essere piuttosto brutta. Anche questo fa parte del suo fascino, come scrive Elena Loewenthal nel suo libro appena uscito Tel Aviv (Traveller Feltrinelli).
Ma al di là delle festose e scontate celebrazioni, questa città resta per molti – per me di sicuro – un grande amore. Ci trovi business, cultura, movida, tecnologia, tendenze, atmosfera da Manhattan-Londra-Berlino-Parigi. Età media trentanni. Un arenile e una luce incredibili, luce-vento-cielo che si chiama Mediterraneo e che esalta il più ricco esempio al mondo di edifici Bauhaus (patrimonio protetto Unesco). Unedizione di Time Out da fare invidia, bistrot, jazz, teatri, ristoranti, mostre, concerti, balli, gallerie darte, rave party, ritrovi gay, shopping.
La sua energia dirompente emerge dalle immagini allo specchio della città di oggi confrontata a quella di 100 anni fa, in mostra a Milano e a Genova (vedi box). Amo Tel Aviv perché è un ritmo. Il ritmo della strada, della libertà, di fare davvero quello che si vuole a patto di non rompere le scatole al prossimo. Il ritmo dellintelligenza. Andare al cinema e vedere Valzer con Bashir, Beaufort, Yossi&Jagger. Ecco: Tel Aviv è un mondo che non si ferma mai, senza interruzione, senza tregua, senza break, senza respiro, senza sosta. Ci si diverte moltissimo e si sgobba altrettanto.
Si incontrano facilmente affascinanti one woman show e altrettanti one man show, stilisti/e, cuochi/e, pubblicitari/e, avvocati/e chi più ne ha più ne metta. I caffé minimal nei quartierini fichi e in quelli più mediterranei, chiassosi, sporcucci, clacsonati, attorcigliati. Dallalba allalba successiva. Qabbala e fricchettoni. Lo scrittor giovane per antonomasia, Etgar Keret, e la sua bizzarra (non per Tel Aviv) famiglia: il padre che fa la guerra ad Ahmadinejad a suon di pattume lasciato sulla spiaggia («Così, quando tra quindici anni arriveranno gli iraniani avranno il loro bel daffare»); la sorella Dana, 46 anni, undici figli e tre nipoti; il fratello, ex anarchico contro la guerra, adesso vive in Thailandia con la compagna su un albero, pc e wi-fi. Città-stato-danimo. Chi incontri non è nato qui e non morirà qui.
È una fase della vita. La capitale della curiosità: non si conoscono le risposte, però si continuano a cercare, perché le domande sono in fondo più importanti delle risposte. Tutto è fusion, bellezze, bruttezze, profumi e puzze, sapori e colori. Non a caso gli israeliani chiamano Tel Aviv Ha-Buah, La Bolla (leggete il libro Karma Kosher di Anna Momigliano): si tira tardi in una frenesia passionale perfino nei giorni in cui a unora di auto altri combattono uccidono e muoiono. Un po più in là cè linferno, qui sei a Tribeca o a Londra. Sempre allerta, sempre in campana, sempre attaccati alla radio, una forma mentis chè simbolo di insicurezza, senso di precarietà e che porta a non pensare al domani. Tutto e subito.
Due maestri in mostra
Una città allo specchio: una distesa di sabbia di 100 anni fa a confronto con la pulsante modernità di oggi. Tel Aviv molteplice, plurale, caotica. Comera e comè diventata. Immortalata da due grandi maestri della fotografia: il pioniere Avram Soskin e il contemporaneo Ziv Koren. Immagini arrivate direttamente dal Museo dArte di Tel Aviv e oggi in mostra a Milano, allo Spazio Krizia fino al 7 giugno, e poi a Genova. Le foto di Soskin (1881-1963) fermano i momenti clou della storia della città, dallo scatto mitico delle dune spoglie dove sta avvenendo lassegnazione dei lotti di terra (fu il vero atto di fondazione della città), alla costruzione delle prime strade e case, immagini struggenti che riflettono la speranza di un ebreo senza terra di avere un proprio Stato indipendente. Gli scatti di Ziv Koren (1970), pluripremiato fotogiornalista, fermano invece la vitalità giovane e lo spirito davanguardia, lumanità variegata tipica della società di Tel Aviv.