di Angelo Pezzana
L’analisi politica in Israele, in special modo quella che possiamo definire per comodità di sinistra, è molto frammentata, non è riconducibile, nè la si può circoscrivere entro confini ideologici precisi. Persino le parole destra e sinistra hanno un significato diverso da quello cui siamo soliti richiamarci in Europa. In Israele, la linea di demarcazione indispensabile per capirne la valenza politica è contenuta nella parola laicità, cui fa da contraltare la parola ortodossia. È da lì che si deve partire per entrare nel dibattito politico che unisce e divide la pubblica opinione. Poi si può tranquillamente ritornare all’uso di destra e sinistra, ma solo aver chiarito la premessa.
Il saggio La mia terra promessa, di Ari Shavit, (best seller in Israele e Usa), è un libro che in Italia può vantare una quasi assenza di recensioni sui più importanti mezzi di informazione. Eppure Shavit scrive su Haaretz, la testata in assoluto più citata sui nostri quotidiani. Il libro è una storia parallela di ebrei e arabi, di uno Stato che c’è, Israele, e di uno che non esiste ancora, ma che l’autore si augura lo diventi quanto prima. Questo per dire che Ari Shavit ha tutte le carte in regola per essere considerato a tutti gli effetti più che politicamente corretto, eppure il suo libro non ha suscitato alcun interesse, malgrado sia scritto in uno stile affascinante e nel raccontare la storia arabo-palestinese abbia usato grande cautela, evitando con cura molti aspetti imbarazzanti. Ne hanno scritto i giornali specializzati che si occupano di ebrei e Israele, ma non ne è nato nessun dibattito e meno che mai polemiche.
Eppure ce n’era da discutere. Shavit, da persona di sinistra, che scrive sul giornale più filo palestinese che esista al mondo, ha una peculiarità che in genere fa difetto a chi ha una precisa collocazione politica: è spietatamente critico anche nei confronti di chi sta dalla sua parte: la sinistra. Shavit sostiene che Israele merita una sinistra “diversa, realista,morale, democratica, liberale e decente”, qualifiche difficili da digerire da chi è abituato a sentirsi dalla parte della ragione. E lo dimostra negli editoriali che Haaretz gli pubblica, malgrado siano spesso lontani dalla linea del giornale.
Di recente, ha scritto parole di fuoco contro una sinistra che ha taciuto sul caso Ezra Nawi, l’israeliano pacifista che denunciava alle autorità dell’Anp, quei palestinesi che volevano vendere terre di loro proprietà ad acquirenti ebrei, mettendo così a sicuro rischio la loro vita. Una storia ignorata dai nostri media, certo sgradevole, ma esemplare di come un certo pacifismo – non dimentichiamo che anche Ari Shavit lo è – che sceglie di tacere, non prende posizione davanti a un comportamento “immorale, illiberale,antidemocratico, indecente” per usare, le parole che secondo lui dovrebbero qualificare la mentalità della sinistra. Una storia soltanto israeliana, o può adattarsi anche all’Italia? Perché anche da noi esiste una sinistra che di fronte all’antisionismo – cioè l’odio per Israele – tace, ne ignora le manifestazioni, quando non arriva anche a condividerle. Penso alla connivenza di tante amministrazioni locali, centri culturali, docenti universitari – pochi questi ultimi -, ma che si danno un gran da fare ad ospitare conferenze, dibattiti nei quali Israele viene delegittimato come Stato con gli insulti peggiori. Dov’è la sinistra morale, liberale,democratica,decente? Perché tace?