Pro Judaeis

Libri

Come scrive l’autore all’inizio della sua introduzione, negli ultimi anni la considerazione storiografica di cui hanno beneficiato gli ebrei italiani “va a colmare, almeno in parte, le lacune di quella che soltanto una dozzina di anni fa appariva come una storia ancora da scrivere” (l’espressione è di David Bidussa). È un dato di fatto, uno dei modi in cui si è espressa la maggior attenzione al mondo ebraico nel corso almeno dell’ultimo decennio.
Tuttavia trovare un libro di ben 223 pagine che parli del filogiudaismo cattolico in un periodo in cui il cattolicesimo raggiunse, anche in Italia, punte elevatissime di antiebraismo, con il ritorno delle accuse e dei processi per omicidio rituale e una virulenza impressionante negli attacchi da parte della stampa e delle autorità cattolico-romane, è qualcosa che incuriosisce davvero. Che esista qualche nuova scoperta storica, qualche ritrovamento d’archivio, qualcosa insomma che possa modificare l’opinione corrente di un periodo in cui l’antiebraismo di matrice religiosa raggiunse punte probabilmente mai viste prima in Italia ?

Uno sguardo all’indice del libro, prima ancora della lettura, ci dice che non c’è granché di nuovo sotto il sole, anzi quasi nulla: su cinque capitoli due sono esplicitamente dedicati all’antigiudaismo cattolico-romano, e altri due sono dedicati al rapporto giudaismo-antigiudaismo, per cui possiamo dire che almeno la metà del libro è in realtà dedicata all’antigiudaismo cattolico in Italia in quel periodo. La lettura conferma questa prima impressione.
Detto questo e tranquillizzati in quanto si sapeva, il volume è interessante, di lettura piacevole nonostante la sua collocazione in una collana di ambito universitario, e ha il vantaggio di rendere accessibili anche ai non specialisti i risultati di una ricerca storiografica ampia da parte di vari autori, rintracciabili però solo in riviste o pubblicazioni di non vasta circolazione. La bibliografia consultata e citata è davvero ampia e non è indifferente il lavoro autonomo dell’autore su documenti e pubblicazioni dell’epoca. Insomma una lettura consigliabile e interessante su un tema che, in qualche modo è alle spalle, ma su cui la memoria rimane per tutti un dovere. Del resto ciò di cui si parla è il terreno su cui verranno riversate le leggi antisemite del 1938 con le loro conseguenze fino alla Shoah e alla riflessione che le chiese cristiane europee condurranno su questo tema, sulla loro solidarietà con le vittime (quando ci fu), ma anche sui loro silenzi, sulle loro omissioni e sulle loro complicità.

Di notevole interesse è l’ampia introduzione dell’autore, in cui sono esposti, sinteticamente, i criteri che lo hanno guidato nella redazione e i principali problemi storiografici con cui si è confrontato.
La prima osservazione interessante che l’autore propone è che (parliamo sempre del periodo tra rivoluzione francese e leggi razziali in Italia) “il filogiudaismo si configura il più delle volte come reazione all’antigiudaismo” (e quindi egli dice non si può studiare il primo senza affrontare anche il secondo). Riflessione interessante, su cui ritornerà nelle ultime pagine del libro, proprio a proposito della Shoah: l’assenza di una elaborazione autonoma da parte cristiana, che rifletta sulla discriminazione e sulla persecuzione antiebraica, e proponga quindi una propria forma di teshuvà. Solo come reazione e riflessione sull’antiebraismo della propria stessa parte, in seguito ad avvenimenti diversi e di diversa gravità, ma comunque esterni alla propria autocoscienza (siano essi la rivoluzione francese, la restaurazione o il nazismo), il cristianesimo (e qui il termine è usato nel suo significato proprio, cioè tutte le chiese cristiane, non solo quella cattolico-romana) ha avviato un processo di revisione dei propri comportamenti verso il popolo ebraico.
Solo riflettendo sull’ingiustizia della segregazione nei ghetti e sulla vergogna dell’oppressione nei confronti dei figli d’Israele, sulla tragedia immane e indicibile della Shoah, e interrogandosi sul ruolo del cristianesimo in quanto accaduto, si è avuta una progressiva modificazione della considerazione dell’ebraismo da parte cristiana.

Quasi contemporaneamente a questo libro è uscito da Mondatori un volume curato da mons. Pierfrancesco Fumagalli dal titolo (su cui ritorneremo un’altra volta) in cui sono raccolti i documenti più significativi di parte cattolico-romana su questo nuovo e diverso atteggiamento nei confronti degli ebrei e dell’ebraismo. Significativa è la data da cui si parte: 1965, quaranta anni fa. Ma ancor più significativi, e, direi, senza possibilità di ritorno indietro, i risultati a cui si è arrivati.
Sempre nella sua prefazione V. De Cesaris fa notare il “sostanziale silenzio sulla ‘questione ebraica’ da parte del magistero papale: non ci furono, nel corso dell’800 espliciti e decisivi pronunciamenti pubblici dei papi rispetto al problema dell’emancipazione o meno degli ebrei… né in anni seguenti rispetto al nascente antisemitismo”. Il ripristino dei ghetti dopo la caduta di Napoleone e gli articoli di Civiltà Cattolica che plaudivano ai processi per “omicidio rituale” contro gli ebrei, ovunque avvenissero sono comunque ben rappresentativi del sentire e dell’agire della Chiesa di Roma nei confronti degli ebrei.
Nei confronti del “nuovo” antisemitismo, quello che mescolava ai pretesti tradizionali di tipo religioso ed economico la nuova vena “biologica” , al tradizionale antiebraismo cristiano le argomentazioni pseudoscientifiche del positivismo ottocentesco? Nulla.
E i filogiudei del sottotitolo? Fatti bene i conti, tra cattolici illuministi moderati, tardi gianseinisti e una piccola pattuglia di modernisti degli inizi del ‘900, rimangono alcune figure di spicco. Primi fra tutti i sabaudi fratelli D’Azeglio, poi il pensatore neo-guelfo Vincenzo Gioberti; più tardi il vescovo di Cremona mons. Bonomelli e il barnabita Giuseppe Semeria.
E comunque per quasi tutte le figure citate nel libro non ci si può non porre una questione di fondo: “la correttezza della definizione di ‘filosemiti’ o ‘filogiudaici’ per quei cattolici che, pur auspicando la fine della discriminazione contro gli ebrei, si muovevano essenzialmente in una prospettiva conversionistica”. Sì, perché quasi tutti i “filosemiti” citati nel libro, oltre alla scarsa influenza delle loro posizioni, sono accomunati da questo presupposto: la cessazione della segregazione e della persecuzione, il riconoscimento dei diritti civili e politici, avranno come conclusione inevitabile il “ravvedimento” del popolo ebraico, la sua “conversione” al cristianesimo. Tutto questo era supportato anche da certe posizioni millenariste di stampo gioachimita e agostiniano che appaiono talvolta nel cattolicesimo . Con molta onestà nel volume è riportato un intervento di Giovanni Levi. “Una delle tesi…non mi convince e credo meriti di essere discussa: l’idea che si possa interpretare come filosemita la posizione – minoritaria ed espressione del cattolicesimo illuminato e del tardo gianseinismo- di coloro che vedono nella conversione degli ebrei una prospettiva messianica di rinnovamento della Chiesa… Una forma soffice ma radicata e pericolosa di intolleranza e di fondamentalismo parallela all’insofferenza di una parte della cultura laica”.

Una precisazione: a proposito del documento Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah “prodotto per volontà di papa Giovanni Paolo II dalla Commissione per le relazioni religiose con l’Ebraismo”, De Cesaris scrive: “Il documento della Commissione vaticana riconosce le colpe della Chiesa sull’antigiudaismo che per secoli ha gravato sulla vita degli ebrei, ma attribuisce ad altri fattori, tutt’altro che religiosi, la nascita e lo sviluppo dell’antisemitismo” . A parte il pregiudizio per cui egli identifica la Chiesa con la Chiesa Cattolica Romana, mentre quasi metà della cristianità fa riferimento a Chiese di altre tradizioni confessionali, il documento in questione esclude qualunque colpa della Chiesa di Roma, facendo riferimento alle colpe di alcuni figli e figlie della Chiesa. Il dogma dell’infallibilità del magistero papale impedisce questo passo, semplice ma gravido di conseguenze, tant’è che il nostro autore, sicuramente in buona fede, legge questa dichiarazione come una ammissione di colpa e di responsabilità. Semplicemente non è così, anche se, come afferma spesso nelle sue conferenze e nei suoi scritti il prof. Paolo De Benedetti: “Le chiese cristiane dovrebbero semplicemente dichiarare di avere insegnato, per duemila anni, l’errore a proposito dell’ebraismo”.

Valerio De Cesaris, Pro Judaeis,
Il filogiudaismo cattolico in Italia
(1789 – 1938).
Guerini studio, pp. 223, euro 20,00