di Roberto Zadik e Laura Brazzo
Grandi navigatori, capitani di fregate e galeoni, “Master and Commander” più che mai vagabondi e costretti a spostarsi da un territorio all’altro. Questi furono gli ebrei sefarditi che dopo la Cacciata dalla Spagna si sparsero ai quattro angoli del pianeta, soprattutto dell’Europa o del Nordafrica, vivendo sorti alterne e spesso sfavorevoli che segnarono le loro vite e ne cambiarono i destini. Ricostruirne storie e itinerari, fortune e rovesci, è missione affascinante e complessa. Specie se accade seguendo il filo della vicenda delle famiglie Nunez e Cardoso, attraverso le pagine del libro Delle navi e degli uomini. I portoghesi di Livorno: da Toledo a Livorno a Tunisi, di Giacomo Nunez, (Edizioni Belforte, pp 217, 14 euro), eminente scienziato e studioso, direttore di ricerca presso il CNRS e INSERM a Parigi. Partiti da Toledo, i Nunez trovarono rifugio a Livorno ma non gettarono l’ancora definitiva sulle coste toscane, tutt’altro. La prua rivolta verso mete impensabili per l’epoca, Impero Ottomano, Olanda, Tunisia, Inghilterra, gli ebrei di Sefarad furono abili commercianti che, a vele spiegate, inseguirono i propri sogni, a bordo di navi mercantili. Spinti dal vento della necessità e dal desiderio di fuggire lasciandosi alle spalle lutti e orrori, gli ebrei scampati all’Inquisizione osarono imprese incredibili. E non è un’esagerazione apologetica. Semplicemente non avevano più nulla da perdere, il sale del dolore sparso sulle ferite dell’esilio e la voglia di rischio e di riscatto nel cuore. Dalle pagine del libro, Giacomo Nunez ripercorre quest’avventura, ricostruendo attraverso i secoli e i luoghi l’epopea dei Nunez e dei Cardoso. Proprio riflettendo sulle vicende dei suoi antenati, Nunez cita vari aneddoti e dà conto della storia ebraico-europea, dai ghetti d’Europa aelle persecuzioni in Italia e Tunisia, luogo di nascita di Giacomo Nunez, assai legato anche alle proprie origini livornesi. L’autore specifica tra l’altro, che “non si sapeva neppure se i Nunez siano stati ebrei perché ci sono tanti con questo cognome. Le analisi sul DNA hanno dimostrato che dal 20% al 30% degli spagnoli e dei portoghesi attuali hanno particolarità genetiche specifiche per gli ebrei”. Spigolando tra le pagine, troviamo che Nunez cita numerose storie esemplari: tra cui quella di Diego Mendes, che ad Anversa, nel Seicento divenne “il re del pepe”, organizzando la Via delle Fiandre e creando oltre ad una delle reti commerciali più efficienti dell’epoca anche una serie di centri di accoglienza per gli ebrei perseguitati. Ma il libro è anche una piccola storia delle grandi famiglie marrane: l’autore cita Benjamin Disraeli e membri della famiglia Cardoso. Raggiunti i vertici della politica e dell’economia, consegnarono il proprio nome alla storia restando marrani o ebrei clandestini per tutta la vita. Oltre a questo c’erano poi, i cosiddetti “nuovi cristiani” che ottennero numerosi vantaggi derivati dalla loro conversione al cristianesimo. A questo proposito viene in mente la famiglia Ximenes, di origini ebraiche ma cattolica a tutti gli effetti che, in Portogallo, controllò il 90% del commercio delle spezie nazionali. Tuttavia le decisioni dei singoli andavano in varie direzioni, c’era anche chi decideva di tornare alle proprie origini, dopo anni. A partire da Amsterdam che “divenne la nuova Gerusalemme, con quasi cinquemila nuovi cristiani ritornati alla religione dei loro avi”. A Londra così come a Bordeaux e a Amburgo invece accadde l’esatto contrario, si assimilarono. Apprendiamo ancora dal libro, che i nuovi cristiani arrivati fino all’America Latina, in Messico e Perù, ebbero l’idea di esportare il pomodoro in Italia, aprendo la strada alla futura salsa per spaghetti. Ed eccoli anche a Barbados, in Giamaica, a Capo Verde. La cavalcata storica porta infine Nunez a soffermarsi anche sulla situazione drammatica degli ebrei tunisini durante l’occupazione fascista e il ritorno all’identità italiana di costoro dopo la Liberazione del 1945, includendo anche le dolorose vicende famigliari e l’arresto di suo padre.
Verso una nuova vita
Ma facciamo un passo indietro. “Siamo oriundi di Toledo, siamo andati poi verso il Portogallo, Livorno e Tunisi. Eravamo mercanti e industriali per più di 400 anni, probabilmente anche nella Spagna medievale. Armatori e proprietari di navi ma sempre commercianti, i Nunez hanno percorso i mari dall’Europa fino all’Asia e in America, cambiando luogo e lingua secondo i bisogni e i pericoli…”. In queste poche ed essenziali parole stanno nascoste storie e personaggi che si rincorrono l’un l’altro ai quattro angoli del Mediterraneo senza mai trovare davvero pace e il luogo in cui fermarsi. I Nunez sembrano quindi uniti da un destino comune -quello del cambiamento e dell’adattamento, del radicamento e dello sradicamento-. “Io stesso, ho cambiato tre volte lingua -confessa l’autore Giacomo Nunez, -dall’italiano, al francese e poi all’inglese. Sono andato ad Algeri e a Parigi, dall’Italia a Tunisi.
Ritornato a Parigi per un lungo soggiorno, con un periodo intermedio in Belgio, mi sono stabilito finalmente negli Stati Uniti. Ogni volta ho dovuto ricominciare. Come i miei avi.” Questo di Nunez è un libro che parla di un destino ma soprattutto di una appartenenza identitaria. In alcuni casi sembra essere quella ebraica, in altri quella famigliare; fin dove però questi due livelli si mantengano distinti, lo si capisce solo arrivando in fondo, proprio alle ultime pagine del libro.
Nunez ricostruisce le vicende epiche della famiglia che solcando avanti e indietro il Mediterraneo a bordo delle loro navi, trasportarono merci di ogni tipo, talvolta rimanendo anche coinvolti in affari più grandi di loro. Henrique Nunes per esempio, con la sua soffiata permise a Elisabetta I d’Inghilterra di preparare in anticipo la difesa delle coste inglesi dall’attacco dell’Envincible Armada. “Non fu soltanto una vittoria navale -scrive Nunez-. Tutto il nord Europa fu infatti messo al riparo dai progetti di Filippo II di Spagna, fortemente sostenuti dalla Chiesa. Filippo II e il Papa volevano eliminare Elisabetta I ristabilendo la dipendenza dell’Inghilterra da Roma, per poi portarvi l’Inquisizione”.
Nel 1595 il Gatto di Mare, la nave dei fratelli Ximenes (di cui uno si chiamava Ruy Nunes Ximenes e che secondo le fonti di Fernand Braudel era un marrano), fu catturata dai pirati inglesi e rilasciata grazie all’intervento diretto di Ferdinando de’ Medici che prese le parti dei due Ximenes “giacchè la loro residenza è al momento la Toscana, di cui sono cittadini”. Ferdinando guadagnò la partita e la nave fu resa ai suoi proprietari col suo carico di pepe e zucchero del Brasile”.
Non a caso, nell’introduzione al libro Nunez fa notare che scegliendo quel titolo -Delle navi e degli uomini-, ha voluto evocare le navi con le quali ebrei e conversos percorsero il mondo, ma anche ricordare gli “uomini della Nazione”, ovvero gli homen de Naçao, che è l’espressione con cui i portoghesi usavano indicare gli ebrei. L’intreccio fra grande storia e piccola storia è qui davvero perfetto, nell’avvicendarsi di elementi personali e vicende del popolo ebraico in generale. Nunez cerca di restituire al lettore un segreto: quello che ha fatto sì che gli ebrei siano riusciti, nonostante le sofferenze “ a ribaltare le proprie sorti…, costretti quasi immediatamente a ricominciare, cambiare paese e lingua e adattarsi alle nuove condizioni di vita per ripartire”. “Più che l’elemento religioso è la coscienza morale che caratterizza questo popolo. E che spiega perché vuole restare se stesso. E da Toledo a Tunisi i miei antenati hanno cercato di trasmettere questo messaggio, una generazione dopo l’altra”. Fino a oggi.