di Fiona Diwan
Perché il mondo occidentale rimase sbigottito dalla caduta dei regimi arabi illiberali di Ben Ali e Mubarak? E perché ancor oggi, non siamo in grado di dare una spiegazione al ritardo economico di un universo, quello arabo, che non riesce a raggiungere traguardi come quelli di paesi che due decenni fa erano altrettanto arretrati e oggi sono in crescita esplosiva, come Brasile, Sudafrica…? E soprattutto, quale futuro per i nostri vicini di casa, 360 milioni di abitanti che detengono il 60 per cento delle risorse petrolifere del pianeta, una realtà questa, troppo importante per noi?
Questi e altri gli interessanti contenuti de Il Mediterraneo degli altri-Le rivolte arabe tra sviluppo e democrazia, scritto a quattro mani da Rony Hamaui e Luigi Ruggerone (Università Bocconi Editore), entrambi dirigenti di Intesa Sanpaolo e professori a contratto all’Università Cattolica di Milano. Un saggio che punta lo sguardo sul bisogno di democrazia e sulle frustrazioni di quell’angolo di mondo, sui rischi, le derive e gli sviluppi delle ribellioni sociali. Gli autori tirano in ballo questioni scottanti: la longevità dei governi arabi, indicatore preoccupante di sclerosi politica; la situazione anomala in fatto di libertà civili e politiche, che non ha eguali in nessuna area del mondo; la maledizione dello stato rentier, che grazie alle risorse petrolifere non cresce, esprime scarsa progettualità e non si democratizza (vedi Arabia Saudita, dove il voto alle donne nasconde una specie di illuminismo oscurantista); e infine, “sul versante etico religioso la questione più spinosa è capire se l’Islam costituisca un ostacolo, non solo alla democrazia ma anche allo sviluppo economico o se piuttosto i problemi dell’area non siano di natura politica”.
Uno scenario ampiamente annunciato, quello delle primavere arabe, bastava saper guardare e cogliere i segnali, scrivono gli autori. Bastava non accontentarsi dei miopi dispacci diplomatici delle ambasciate occidentali e leggere attentamente i giornali locali, o ascoltare le voci autorevoli del mondo arabo, come quella di Ala Al Aswani, romanziere, opinionista, anima della rivolta in piazza Tahrir al Cairo, che per anni lamentò quanto la società egiziana fosse piombata nell’arretratezza, “travolta da una radicale invasione di idee wahabite provenienti dall’Arabia Saudita e sfruttate da Sadat e Mubarak, una visione retrograda dell’Islam che favoriva la sottomissione politica”.
Ma al di là del passato, quali saranno gli esiti di queste rivolte e come scongiurare il pericolo che una fulgida primavera precipiti in un buio inverno? Con una chiara e stringente analisi socio-economica, Hamaui e Ruggerone gettano sul piatto la questione delle cause del ritardo del mondo arabo; scavano nelle paure dell’Occidente in termini di terrorismo, rischio petrolifero, immigrazione clandestina… E tracciano una linea strategica d’azione e un possibile modello di sviluppo. Un libro quindi, che suggerisce chiavi di lettura. Perché “l’analisi socio-economica da sola non è in grado di spiegare compiutamente le rivolte arabe”, scrivono gli autori, “sia perché tale situazione dipende anche da variabili politico-culturali, sia perché le folle in piazza hanno chiesto prima di tutto democrazia e buon governo”. “Seppure il futuro dell’area sia in larga misura nelle mani dei governi che stanno nascendo dalle rivolte” affermano gli autori, “l’Europa dovrebbe provare ad immaginare un bacino Mediterraneo più integrato e meno schiavo dei propri timori”. Ultimo capitolo? Dritte, consigli all’Europa e all’Italia, scenari e sviluppi possibili. Speriamo che qualcuno ascolti.