L’anima risplende, anche al cospetto del male assoluto

Libri

di Sara Pirotta

“Sai, se qui tu non hai una grande forza interiore, se non guardi alle apparenze come a pittoreschi accessori che non intaccano il grande splendore (non mi viene in mente un’altra parola) che può essere una parte inalienabile della tua anima – allora è proprio una situazione disperata”. Con queste parole, la scrittrice olandese Etty Hillesum descrive la tremenda condizione degli ebrei internati nel campo di Westerbork, anticamera di Auschwitz, dove lei stessa fu deportata nel settembre 1943.

Il grande splendore dell’anima, inalienabile anche nelle situazioni più buie, è ciò che emerge dalle parole vergate sull’ultima cartolina scritta, proprio da Westerbork nello stesso periodo in cui vi era rinchiusa la giovane autrice, da Siegmund Klein, capostipite di una famiglia di ebrei tedeschi di Colonia, alla figlia Ilse.

L’accostamento tra due persone che hanno condiviso la medesima esperienza sorge spontaneo, leggendo le parole di un padre che, da un luogo senza speranza -ogni settimana partiva un treno con mille persone dirette al lager-, cerca comunque di dare coraggio alla figlia. “Ho abbastanza da mangiare, lavoro anche, dormo bene. Se non potrò più scrivere non vi preoccupate, resisterò”.

È un sentimento di amore forte, quello che si ritrova in ognuna delle lettere che Siegmund scrive a Ilse in quegli anni, capace di tenere vivo lo splendore della sua anima.

La lunga corrispondenza fra i diversi membri di questa famiglia che, fra gli anni 1939-1945 si dipana fra Germania, Olanda, Francia, Svizzera e Italia, è stata da poco pubblicata in Italia a cura di Giorgio Sacerdoti, nipote di Siegmund e figlio di Ilse, in un volume dal titolo Nel caso non ci rivedessimo (Archinto editore, pp. 405, euro 18.00).

«Due anni fa – racconta Sacerdoti – abbiamo deciso di pubblicare in Germania l’intero carteggio, che consta di oltre un centinaio di lettere, con l’intenzione di farlo anche in Italia. Attraverso le vicende private della famiglia, che abbracciano diversi anni e Paesi europei, si legge la difficile realtà di allora, corredata da un’inquadratura storica che accompagna, in ordine cronologico, le diverse missive». Il nucleo più corposo delle lettere racconta la vita di Siegmund e della moglie Helene, costretti a fuggire ad Amsterdam, dove si era già trasferito il secondogenito Walter, all’indomani della Notte dei cristalli del novembre 1938. Ilse, invece, impossibilitata dalle Leggi razziali a proseguire gli studi all’Università di Colonia, già nel 1933 era riparata a Parigi, dove lavorava come segretaria. «Proprio là – ricorda Sacerdoti – incontrò e iniziò a frequentare il futuro marito, Piero Sacerdoti, che dirigeva la filiale parigina della Riunione Adriatica Sicurtà».

Lo scoppio della guerra precipita gli eventi e la vita dei Klein ad Amsterdam si fa sempre più dura. Non è da meno quella della giovane figlia in Francia che, nella primavera del 1940, viene rinchiusa dai francesi nel campo di Gurs, in quanto cittadina tedesca. «Lì, dopo avere ottenuto un lasciapassare all’indomani dell’armistizio franco-tedesco, venne raggiunta fortunosamente da mio padre – prosegue l’autore -. Insieme si trasferirono a Marsiglia, dove si sposarono nell’agosto di quell’anno».

A causa del conflitto, la ricezione delle lettere fra i membri della famiglia è sempre più rallentata; l’interruzione del servizio postale tra Olanda e Francia del Sud costringe Siegmund ed Helene a indirizzare le lettere a una cugina residente in Svizzera, che le ricopia e le invia a Ilse a Marsiglia. «In questo modo – sottolinea Sacerdoti -, le lettere originali sono state conservate e sono sempre state custodite da mia madre fra le cose più care».

La situazione si aggrava nel 1942 quando Walter, allora ventiduenne, viene arrestato in Francia nel tentativo di raggiungere la sorella a Marsiglia. Le sue cartoline, spedite dal campo di Drancy, nei pressi di Parigi, raccontano le condizioni degli internati, che in breve tempo venivano deportati ad Auschwitz. “Non ho mai sofferto la fame così tanto come ora, mi reggo a malapena in piedi, sto continuamente a letto, se alcuni correligionari non mi avessero aiutato sarei crollato […]”. Queste le parole scritte da Walter alla sorella, senza mai dimenticare i genitori. “Cara Ilse, mi preoccupo molto per i nostri genitori, perché potrebbero non sopportare tutto questo, ma devono tener duro […]”.

Della sua deportazione, nulla seppe la famiglia, se non negli anni successivi. Il dolore per la mancanza di notizie sulla sorte del figlio condusse a morte prematura la madre Helene e per diverso tempo Siegmund continuò a firmare le lettere alla figlia anche a nome della moglie, non avendo cuore di darle la notizia, sapendola incinta e poi giovane madre del primogenito, del quale tenne con sé una fotografia sino alla fine, con il costante rammarico di non poterlo vedere. «Proprio nel periodo in cui mio nonno veniva deportato da Westerbork con il 58° convoglio – racconta Sacerdoti -, i miei genitori e i nonni paterni riuscirono a trovare la salvezza in Svizzera, essendo precipitata la situazione dopo l’armistizio dell’8 settembre. Come scrive Arrigo Levi nella prefazione al libro, citando Primo Levi, non ci fu colpa nell’essere ‘sommersi o salvati’ tutti indistintamente ‘in balia di un cieco fato e della malvagità dell’uomo’». Il passaggio in Svizzera non fu cosa facile, ma per i Sacerdoti rappresentò la fine di un incubo, pur nell’ansia e nella paura dei respingimenti che avevano colpito altre famiglie di sfollati. «Nell’edizione italiana del libro – aggiunge l’autore – è dato ampio spazio alle vicende italiane della famiglia di mio padre a partire dai primi del Novecento e alla successiva permanenza in Svizzera, dove egli affiancò al suo lavoro la docenza universitaria».

Il volume si chiude con il racconto della posa delle “pietre d’inciampo” con incisi i nomi di Helene e Siegmund, davanti alla loro casa di Colonia, nel 2011, dopo la pubblicazione dell’edizione tedesca. «Alla cerimonia hanno partecipato anche gli studenti del liceo frequentato da Walter, i quali stavano affrontando un progetto sulla memoria dell’Olocausto. Il giorno seguente, abbiamo letto a scuola alcuni stralci dalle lettere pubblicate nel carteggio». Un segno di riconciliazione, certamente un seme di riflessione, gettato, ancora una volta, dalle parole coraggiose scritte da un uomo al cospetto del male, che mantiene tuttavia intatto il proprio splendore interiore. Così scriveva Siegmund a Ilse in una delle sue ultime lettere: “Nel caso non ci rivedessimo, cara Ilse, pensa sempre che l’Inno alla Gioia inizia con ‘Gioia, bella scintilla divina’, ma si chiude con ‘Saldo coraggio quando la sofferenza è grande’”.

Il libro di Giorgio Sacerdoti sarà presentato, in un incontro organizzato da Nuovo Convegno e CDEC, con l’introduzione di Paola Sereni e la presentazione di Michele Sarfatti alla Libreria Claudiana di Milano, via F. Sforza 12/A, giovedì 12 settembre, alle ore 18.00.