Certo, meglio l’I-Pad, il Tablet o il Kindle. Ma sotto l’ombrellone, a prova di sabbia o di schizzi d’acqua, il più pratico da portare in spiaggia resta ancora il libro di carta. Estate, quindi, tempo di supremo godimento per ogni goloso lettore. Quali le novità “ebraiche” dello scaffale estivo? Partiamo dalla riscoperta di un grandissimo come Lion Feuchtwanger e di un altro suo contemporaneo, Stefan Zweig, di cui Adelphi e Skira stanno curando la riedizione di tutti gli scritti. Il mondo di ieri e della Mitteleuropa, ma anche la contemporaneità degli israeliani di oggi da Nava Semel a Yoram Kaniuk, o ancora la modernità tormentata del francese Marc Levy e dell’americana Jami Attenberg (nella foto). Ecco qui di seguito, novità e consigli della redazione del Bollettino.
FIONA DIWAN
§ Il mondo senza sonno, Stefan Zweig, Skira, pp. 101, euro 12,00.
Disertori, fuggiaschi, prigionieri dell’oscurità. O luoghi come Ypres, la città martire, immenso cimitero per centinaia di migliaia di soldati inglesi nella Prima Guerra Mondiale. Con la magnifica, distesa classicità della sua prosa, Zweig sa toccare il cuore e regalarci lampi di coscienza su quello che fu il trauma di due generazioni. Mentre leggiamo, noi siamo lì, in quel mondo che ha perso il sonno e la voglia di vivere, respiriamo l’inferno di Verdun, le trincee sulla Somme, la follia degli uomini.
§ Quel che resta della vita, Zeruya Shalev, Feltrinelli, pp. 373, euro 17,00.
Cosa fare di se stessi con quel che resta della vita? Saremo capaci di resistere alla deriva esistenziale che può, con gli anni, prenderci in contropiede? Tutto è sovraesposto e in soggettiva in questo ultimo, e quasi perfetto, romanzo della Shalev che ci narra della radicale impossibilità di comprendere l’altro. Siamo figli dei nostri traumi e del male che ci è stato fatto, loro malgrado, dai nostri genitori, loro che pure ci amavano infinitamente. Chiusi nella prigione dell’Io, tutti intenti a farci opprimere da noi stessi, ci precludiamo quella grande consolazione di sentirci parte di un Tutto. Esistenze parallele: la storia di una famiglia scorre in un flusso di coscienza restituito con una sapienza narrativa rara. Fino alla sorpresa catartica e salvifica della fine. Un viaggio nella nostra scatola nera, nella fossa delle Marianne delle relazioni familiari. Illuminante.
§ I fratelli Oppermann, Lion Feuchtwanger, Skira, pp. 347, euro 19,00.
Nella Monaco del 1933, Feuchtwanger aveva già intuito tutto, ed è tra i primi a fuggire dalla Germania di Hitler: tra le fiamme delle pire naziste ci sono già i suoi libri. Un romanzo profetico, che narra la caduta di una colta, ricca, tedeschissima famiglia ebraica, due fratelli, Gustav e Martin, ben accomodati nella loro vita fatta di amiche, amanti, salotti borghesi, libri, discussioni filosofiche, che increduli precipitano nella Shoah. Nel 1941, il giovane Primo Levi aveva già letto questo libro e quindi “sapeva”… Grazie a Skira e al fiuto di Eileen Romano, che ne dirige la collana di narrativa, torna il romanzo che per primo narrò la tragedia ebraica del XX secolo, pubblicato nel 1933, in tempo reale. Feuchtwanger scapperà prima in Francia e poi negli Stati Uniti, dove nemmeno la censura maccartista lo lascerà in pace, incapace di perdonare le sue simpatie comuniste e capirne la nostalgia verso quel mondo perduto.
MARINA GERSONY
§ Un’eredità di avorio e ambra, Edmund de Waal, Bollati Boringhieri, pp. 397, euro 18,00.
Una storia appassionante quella degli Ephrussi, ebrei di Odessa, commercianti di cereali e poi banchieri ricchi e famosi quanto i Rothschild, con ville e palazzi sparsi in tutta Europa. Tra le opere d’arte in possesso della famiglia, una serie di sculture giapponesi non più grandi di una scatola di fiammiferi, raffiguranti divinità, piante e animali, sfuggite all’attenzione dei nazisti. Passando da una città all’altra – tra l’Europa e il Giappone -, l’autore ricostruisce magistralmente la storia romanzesca della sua famiglia.
§ Due lettere da Westerbork, Etty Hillesum, Castelvecchi, pp. 72, euro 7,50.
Oltre al suo struggente Diario, scritto tra il 1941-1943, Etty Hillesum scrisse Due lettere da Westerbork, dove racconta il luogo dell’umiliazione e l’attesa della morte, da dove passarono anche Anne Frank ed Edith Stein. Etty avrebbe potuto salvarsi, ma scelse di restare e testimoniare quei giorni che condivise con gli altri reclusi, anziani, donne e bambini, come lei destinati ad Auschwitz. Le due lettere vennero pubblicate clandestinamente dalla resistenza olandese nell’autunno del 1943.
§ Quando tutto questo sarà finito, Gioele Dix, Mondadori, pp. 151, euro 16,50.
Attore, comico e uomo di spettacolo. Ma lui, Gioele Dix, giunto alla soglia dei sessant’anni, ha deciso di esordire come scrittore narrando la storia della sua famiglia di ebrei italiani. Nato a Milano nel 1956 come David Ottolenghi, Gioele sapeva che suo padre Vittorio custodiva una storia, ma per anni non era riuscito a farsela raccontare. Gioele ripercorre il vissuto del nonno Maurizio, ammiratore di Mussolini, che nel 1938 subisce lo choc delle Leggi razziali, e di suo figlio Vittorio di dieci anni, che di colpo non può più andare a scuola, provando gli effetti di una discriminazione grottesca oltre che infame.
ILARIA MYR
§ Testastorta, Nava Semel, Salomone Belforte & C., pp. 248, euro 22,00.
In un paesino della campagna piemontese vive Tommaso con le donne che lo hanno adottato, la bella Maddalena e sua madre, l’energica Damiana: sullo sfondo l’Italia del fascismo e dell’occupazione nazista. Un giorno Tommaso sente dei rumori: in casa c’è una principessa! Ma da quel momento diventa per tutti un “testastorta”, uno che non capisce niente. Un romanzo dolce e amaro allo stesso tempo, con tanto di sorpresa finale.
§ Sazio di giorni, Yoram Kaniuk, Giuntina, pp. 90, euro 12,00.
Un vero testamento letterario è Sazio di giorni, di Yoram Kaniuk, scritto dall’autore israeliano prima di morire. Una riflessione attenta, a tratti sofferta e a tratti ironica, sulla morte e sull’arte. Splendida la figura del protagonista Orlov, il pittore di morti.
Roberto Zadik
§ Se solo potessi tornare indietro, Marc Levy, pp. 324, Rizzoli, euro 18,00.
Autore prolifico molto famoso in Francia, acclamato col suo I ragazzi della libertà lo scrittore d’oltralpe Marc Levy ha una fantasia che sembra inesauribile. Lo dimostra anche in quest’opera: la trama cammina in bilico fra giallo e intreccio psicologico e romantico. Il titolo è una frase che spesso diciamo con rimpianto “se solo potessi tornare indietro” e il testo è originale e affascinante, ambientato a New York, la città dove Levy vive e scrive.
§ Che sia cancellato il suo nome, Anouk Markovits, Mondadori, euro 16,50.
Dalle persecuzioni antisemite nella Romania nella Seconda Guerra Mondiale fino alla divisione fra chassidismo e ebraismo laico. Tutto questo, in un romanzo importante, dal titolo e dalla trama forti, che racconta una storia assolutamente originale. Tutto inizia in Romania quando due famiglie ebraiche vengono trucidate senza pietà, nel 1944, dalla temibile Guardia di Ferro, movimento di estrema destra visceralmente antisemita. Sopravvivono solo i loro due figli, Josef e Mila, e i loro destini cominciano a rincorrersi. Josef si salva e viene educato da una domestica. Mila viene ospitata dal generoso Rabbino Zalman che la educa secondo i severi dettami del chassidismo. Tanti colpi di scena e cambi di luogo e atmosfere per un romanzo che è soprattutto una potente riflessione storica e identitaria.
Ester Moscati
§ Jami Attenberg, I Middlestein, traduzione Rosanella Volponi, La Giuntina, pp. 224, euro 15,00.
§ Dror A. Mishani, Un caso di scomparsa, traduzione Elena Löwenthal, Guanda, pp. 304, euro 18,00 (vincitore del Premio letterario Adei Wizo 2014).
Due titoli che in comune hanno un solo elemento: il tema dei rapporti famigliari. Entrambi capaci di rivelare quel lato oscuro che, in diverse sfumature e toni, prima o poi tutti devono fronteggiare. Quell’ombra fatta di non-detto, di rancore malcelato, di segreti condivisi che marciscono nel sottobosco degli anni, nel “non-più-amore”. Se i toni di Un caso di scomparsa sono quelli del giallo (è un raro caso di poliziesco israeliano), in cui l’indagine si sviluppa per vie insospettabili e coinvolgenti, ne I Middlestein siamo di fronte ad una dovizia di elementi, ad un quadro che si articola tra tre generazioni, nella Chicago contemporanea, dove contraddizioni, idiosincrasie, rapporti di forza esplodono come una torta troppo farcita. Metafora inevitabile, quella del cibo, perché è attorno al “pianeta” Edie, ovvero l’obesa matriarca, – e ai suoi chili che lievitano con lucida determinazione -, che ruota la sua famiglia e la cerchia degli “amici della sinagoga”. Perché Edie mangia, mangia, mangia? Perché il marito Richard la abbandona proprio quando l’obesità la sta uccidendo? Perché l’amore dei figli, Robin e Benny, non le basta? Non ci sono buoni e cattivi, vittime e carnefici. La voce narrante alterna il ritratto di ciascun personaggio ai tormentosi sentimenti e alibi che lo attraversano. Con la passione per la vita e l’amore, nonostante tutto; con ironia e tenerezza. Il capitolo (L’assegnazione dei posti a tavola) in cui la voce narrante si fa sostituire da quella degli “amici della sinagoga” – i Cohn, i Grodstein, i Weinman, i Franken – è un piccolo capolavoro. E scopriamo che quell’ebraismo americano, riformato e liberal, non è poi così diverso dal nostro nelle dinamiche sociali, negli affetti e nelle ipocrisie, nella difficoltà di trasferirsi alle “nuove generazioni”.