Tre anime, tre volti: tutti rivoluzionari

Libri

di Ester Moscati

14_12-Libro ScholemMistica, Qabbalah, messianesimo, sono i campi sui quali si è dipanata la ricerca, la meditazione e infine la scrittura di Gershom Scholem che, spesso in contrapposizione con gli amici Martin Buber e Walter Benjamin, attribuiva alla storiografia e alla linguistica le capacità indispensabili alla comprensione di tali aspetti del giudaismo.
L’opera che oggi Adelphi pubblica, Le tre vite di Moses Dobrushka, sembra compendiare tutti gli aspetti della ricerca Scholemiana: è una indagine storica, infatti, che riguarda un personaggio misterioso, controverso e intrigante, che si muove tra mondi paralleli e percorre un cammino geografico e interiore a suo modo paradigmatico, emblematico dello sviluppo di un certo tipo di giudaismo europeo nel passaggio dall’Ortodossia all’Hashkalah, alla conversione al cristianesimo, che altro non è se non un’ulteriore forma di “nascondimento”.
Il tutto, sotto l’ombra delle sette ebraiche che facevano capo ai “falsi messia” Shabbatay Zevi e Jacob Frank, quest’ultimo addirittura parente di Moses Dobrushka.
La ricerca, le scoperte e le interpretazioni di Gershom Scholem si leggono come un romanzo, per la ricchezza di avventure, colpi di scena, personaggi che accompagnano il cammino – dai ghetti della Moravia a Berlino, alla corte imperiale di Vienna, fino alla Francia giacobina – di Moses Dobrushka, alias Franz Thomas von Schönfeld, alias Junius Frey. Tre nomi, tre identità che si moltiplicano in un gioco di specchi, rimandi, divagazioni e ruoli, maschere e volti: Dobrushka fu una spia per conto delle potenze reazionarie? Oppure un sincero rivoluzionario o ancora un volgare avventuriero? Poeta e uomo d’affari, iniziato nella sfera degli Illuminati quanto attratto dagli Illuministi, massone, consigliere politico, trafficante d’armi. E altro ancora, nel corso di una vita la cui fine, sulla ghigliottina del Terrore, non nasconde la sua natura da sempre e per sempre rivoluzionaria, intrinsecamente legata alla spinta messianica, come spiega nella postfazione Saverio Campanini.
Il messianesimo nichilista di Jacob Frank sembra infatti realizzarsi del furore rivoluzionario, sovvertitore del vecchio ordine e dell’Ancien Régime: “i discepoli di Jacob Frank sono i Giacobini di nome e di fatto”. Ma per Scholem, le conseguenze estreme del frankismo nella storia ebraica sono chiare e manifeste anche nell’Illuminismo dell’Hashkalah e nello stesso Sionismo, nel ritorno a Sion proprio dell’ebreo che vuole prendere in mano la propria storia: “Ciò non è altro che il movimento dialettico dell’idea messianica e del desiderio di redenzione nel cuore dell’ebreo e nelle complicazioni storiche che si verificano quando un’intera nazione e in seguito singoli gruppi e individui lottano per la propria liberazione”.
E l’ebreo rivoluzionario Moses Dobrushka rivolge a Moshé Rabbenu la sua più spietata critica proprio in nome dell’ideale messianico: “seppe coprire la verità con un velo così fitto, così duraturo, che esso si è conservato fino a noi”. Qual è la critica? “Di tutti i legislatori è quello che ha avuto la più grande opportunità: quella di dare forma ad un popolo intero, affidato alla sua autorità per quarant’anni nel deserto, nel più completo isolamento. Avrebbe potuto condurre quel corpo informe verso i Lumi, ma preferì guidarlo in nome di un’impostura presentata come di origine divina. Qual era questa verità che Mosè conosceva e che teneva per sé? La filosofia dei Lumi. Il suo sapere in materia di chimica e di fisica gli avrebbe permesso di insegnare al popolo (…) e di renderlo immune da ogni errore”. I Lumi, per Dobrushka, saldano insieme Qabbalah e rivoluzione.

Gershom Scholem, Le tre vite di Moses Dobrushka, a cura di Saverio Campanini, traduzione di Elisabetta Zevi, Adelphi, pp. 231, € 22,00