di Daniela Cohen
Il titolo di questo libro è una domanda e il motivo si intuisce fin dalle prime pagine, che si fanno leggere dapprima con un certo sospetto, poi via via sempre più con curiosità, sdegno, incredulità e infine con immedesimazione. È questa la terra promessa, scritto da Eli Amir (già autore di Jasmine, Einaudi, un best seller internazionale) e pubblicato in Israele nel 1983, racconta una storia che l’autore, nato a Baghdad nel 1937 ed emigrato in Israele all’inizio degli anni ’50, ha conservato in sé per decenni. Finché ha buttato fuori tutto e ha raccontato con dovizia di particolari i ricordi più imbarazzanti, o magari quelli più spietati ed eroici, insomma belli e orribili dell’esperienza di una famiglia di profughi iracheni come la sua che aspetta di entrare, finita la seconda guerra mondiale, nel Paese appena nato in Medio Oriente, la speranza di ogni ebreo in terra: il nuovo Stato d’Israele. Purtroppo però sognare una terra promessa ed entrarci non fu esattamente la stessa cosa, specialmente a seconda dell’età, della lingua d’origine, del colore della pelle e perfino del sesso… È così vivace, colorita e piena di sentimenti la capacità dell’autore di raccontare tre anni di vita, dai 13 ai 16 anni, che questo suo libro è diventato un testo scolastico che viene studiato e conservato in ogni libreria e biblioteca israeliana, fino a far sì che È questa la terra promessa? diventasse una serie televisiva. È un romanzo incalzante che sembra davvero un documentario trasformato in film, una biografia romanzata, non è chiaro fino a che punto. Nell’edizione italiana della Giuntina, con la traduzione di Shulim Vogelmann, c’è la prestigiosa prefazione scritta da Shimon Peres: “È questa la terra promessa? è la storia personale, intima, di un adolescente figlio di immigrati, che viene mandato in un kibbutz agli inizi degli anni ’50. Il kibbutz, l’esperimento sociale più audace e affascinante del ventesimo secolo, era allora al culmine della sua gloria: una formazione sociale rivoluzionaria il cui scopo era creare un ebreo nuovo, un pioniere che sarebbe stato sia un agricoltore che un intellettuale, un ribelle laico e il creatore di una cultura nuova di zecca. Nuri, il protagonista del libro, è un giovane nato a Baghdad che entra nel kibbutz provenendo da un retroterra mediorientale conservatore e tradizionalista e si trova immediatamente coinvolto in lotta tra due mondi opposti. Amir, il nostro autore-eroe iracheno, nel 1984 è diventato consigliere del primo ministro per l’immigrazione, poi responsabile dell’Agenzia Ebraica per l’immigrazione giovanile. Si è ritirato nel 2004 e da allora scrive libri di successo.
Il titolo originale di questo libro è Scapegoat, che in inglese significa “capro espiatorio”: il racconto dell’immigrazione più massiccia avvenuta nel ‘900 con famiglie provenienti da ogni parte del mondo verso un pezzetto di terra nel deserto, con la creazione di giganteschi campi profughi e di transito mai visti prima d’allora. Ma la storia di Nuri e di tutti quei ragazzini e ragazzine, accomunati dall’essere ebrei ma diversi per cultura, tradizioni e lingua o accento, umanizza il punto di vista con cui è forse più giusto considerare le difficoltà di tutti gli esseri umani – tema di drammatica attualità – coinvolti in guerre, fughe, atroci periodi di esistenza vissuta in campi profughi, nel tentativo disperato di ottenere una nuova identità per vivere una nuova vita. E poi scoprire che la vita passata nei luoghi di origine è però l’unica che si conosca davvero, che abbia dei ricordi, degli affetti, una mamma, fratelli e sorelle, un papà con un lavoro in una casa abitata prima che tutto esplodesse. Nuri ci porta a comprendere l’incomprensibile e in tal modo chiunque può, non solo capire, ma anche soffrire assieme a lui. È un crescendo, nel corso della lettura, che trascina fino all’ultima pagina, lasciando il lettore come scaraventato nel vuoto, quando il libro finisce e non è rivelata la fine: il resto della storia. Perché forse Amir sente che non esiste alcuna fine a storie di questo genere: crescere e imparare a vivere non permette mai di comprendere davvero cosa diavolo succede nel mondo. Mai. Certi incubi sono per sempre.
Eli Amir, È questa la terra promessa, Editore Giuntina, pp. 252, euro 15,00