di Roberto Zadik
Comincio il 2016 e i prossimi mesi del mio blog, con il tema fondamentale e delicatissimo della Memoria della Shoah che si dimostra ancora più importante, visti i recenti e preoccupanti episodi di antisemitismo e di violenza xenofoba che si sono verificati per tutto il 2015 e tendenze molto pericolose come negazionismo insofferenza, ignoranza (specie nelle giovani generazioni) e indifferenza che sembrano non passare mai di moda. Come lottare contro questi fenomeni? Purtroppo non esiste una ricetta miracolosa e definitiva contro stereotipi e pregiudizi però ricordare quanto accaduto e immergerlo nel presente forse può essere un buon inizio.
Per questo, a fine gennaio, ci saranno due film e un grande concerto che ripercorreranno gli orrori dell’epoca nazista e le atrocità subite dagli ebrei, specialmente da coloro che vivevano in Ungheria. Non tutti sanno che, oltre alla Polonia, alla Germania e alla Russia, l’Ungheria fu uno dei Paesi più ostili al popolo ebraico. Lo dimostrano i libri dello scrittore Imre Kertesz autore del bellissimo “Kaddish per un bambino mai nato” e la tormentata e breve esistenza del “padre del sionismo” Theodor Herzl, acclamato e arguto giornalista che morì a soli 44 anni nel 1904 scrivendo come sua opera più celebre il libro “Lo Stato ebraico”, pubblicato nel 1896, che, con sorprendente modernità, invitava gli ebrei a fare ritorno alla Terra Promessa molto prima della nascita di Israele come reazione all’antisemitismo europeo, a ridosso del celebre caso Dreyfus che sconvolse la Francia di Proust e di Zola, suo avvocato difensore e all’assimilazione.
Ebbene di ebrei ungheresi e delle loro sofferenze si parlerà nella pellicola “Il figlio di Saul” che uscirà nei cinema italiani il prossimo 21 gennaio e il 24 gennaio dalle 11 di mattina ci sarà il grande concerto “The Glass House Opera” al Teatro Manzoni inserito nella prestigiosa rassegna musicale “Aperitivo in Concerto” (costo del biglietto 12 euro, per informazioni e prenotazioni www.aperitivoinconcerto.com). Una parentesi storica rimasta sconosciuta per troppi anni quella degli ebrei di Budapest che vennero salvati in gran numero da un Giusto come il diplomatico svizzero Carl Luz che era console in Ungheria al tempo dell’occupazione nazista. Grazie al suo coraggio e al suo altruismo, l’uomo, che ricorda un po’ la figura di Oscar Schindler, industriale cecoslovacco protagonista del capolavoro di Spielberg “La lista di Schindler”, mise in salvo 62mila ebrei magiari nascondendoli dalle truppe naziste e salvandoli la vita. A rendergli omaggio ci sarà il raffinato trombettista ebreo americano Frank London, ex leader della band dei Klezmatics, si cimenta assieme ai suoi affiatati musicisti in brani che oscillano dal folklore yiddish e Est Europeo a brani sperimentali e sofisticati che seguono lo stile del geniale John Zorn che come è avvenuto per tanti gruppi, gli ha scoperti nella sua New York.
Tornando alla pellicola in uscita a fine mese, essa si preannuncia molto emozionante e drammatica e diversa dai tanti film girati sulla Shoah. Girato dal regista Laszlo Nemes e prodotto in Ungheria (anche questo è un dato importante visto il ritorno di antisemitismo nel Paese) il lungometraggio racconta una storia sconvolgente e inedita. Protagonista della vicenda è l’ebreo magiaro Saul Auslander deportato nel lager di Auschwitz che dopo lunga prigionia e tortura, viene assoldato dai nazisti come membro del “Sonderkommando”. Un incarico tremendo dove l’uomo deve quotidianamente estrarre i cadaveri dalle camere a gas per portarli nei forni crematori per essere bruciati. Il protagonista, interpretato dal bravo Geza Rohrig, vivrà sofferenze inimmaginabili, e durante il suo tremendo compito troverà fra le pile di morti gassati anche il cadavere del figlio. Resistendo alla disperazione e alla rabbia, la sua missione sarà quella di dare una degna sepoltura al suo ragazzo impedendo che finisca come troppi altri ammassato senza nome nelle fosse comuni del lager o carbonizzato nei forni. Per questo convoca un rabbino e opponendosi a una serie di ostacoli contro i suoi compagni che volevano fuggire dal campo convoca un rabbino e seppellisce il figlio recitando un Kaddish per lui. Un film molto toccante premiato al prestigioso Festival di Cannes, grazie alla regia attenta e sensibile e all’interpretazione dei protagonisti che, a 71 anni dalla Shoah, riflette sulla barbaria nazista e sulla forza di un padre che nonostante tutto non abbandona mai il legame col figlio e con la sua identità ebraica. La pellicola si distingue anche perché prodotta in Ungheria e non negli Stati Uniti e rappresenta una presa di coscienza importante da parte di un Paese che ha visto un terribile ritorno di antisemitismo e di nazionalismo.
Per concludere con i tributi alla tragedia della Shoah che stanno per uscire in concomitanza con l’annuale ricorrenza de “Il giorno della Memoria” alla vigilia di questo appuntamento, il 26 gennaio, uscirà l’interessante film “The Eichmann Show”. Questa volta si tratta di una produzione americana completamente diversa dagli altri film sulla Shoah. Infatti l’opera si concentra sui retroscena dello special televisivo che venne realizzato nel 1960 ai tempi del processo al temibile gerarca nazista Adolf Eichmann (Pesci ascendente Gemelli) prima di venire condannato a morte in Israele. Responsabile degli elenchi di ebrei che andavano a morire nelle camere a gas dei lager e incaricato da Hitler di gestire il traffico ferroviario che si occupava di destinarli milioni di persone ai campi di sterminio, Eichmann eseguì gli ordini con spietata meticolosità agendo nell’ombra a dispetto di figure più egocentriche e aggressive come Joseph Goebbels capo della propaganda nazista o Heinrich Himmler. Già al centro del documentario “Eichmann” diretto da Robert Young nel 2007, Eichmann rifiugiatosi in Argentina, come Eric Priebke e tanti altri nazisti, venne catturato dal Mossad e processato in Israele. Il nuovo film diretto da Paul Andrew Williams si preannuncia molto originale e ha come protagonisti, non il gerarca Eichmann, ma il documentarista Leo Hurwitz e il produttore Milton Fruchtman, che si occuparono di filmare il processo in tv per realizzarne un documentario.