di Raffaele Picciotto
Nella turchia islamizzata di Erdogan, che cosa resta della storia e degli splendori del ladino? Pochissimo. La lingua giudaico-spagnola degli ebrei sefarditi è oggi solo una memoria dismessa. Con questa accurata ricostruzione storica ne ricordiamo la cultura grandiosa, lo stile di vita e di pensiero, le vicende
Gli Ebrei Turchi (circa 17.500, per la maggior parte abitanti a Istanbul), guardano oggi con una certa apprensione l’ascesa del partito islamico del Primo Ministro Erdogan -al suo secondo mandato dopo la vittoria alle ultime elezioni di giugno-, che sta portando a cambiamenti epocali sia nella politica estera turca che all’interno del Paese. Storicamente, questo è il cambiamento più radicale avvenuto dalla fondazione della Repubblica Turca, dopo la caduta del Sultano e con l’avvento di Atatürk. Sulla rivoluzione di Atatürk si sa ormai tutto o quasi. Ma poco si sa invece dell’impatto che ebbe sul mondo ebraico a medio e lungo termine. Di fatto il nazionalismo di Atatürk ebbe tra le sue conseguenze il lento declino del Ladino, di una precisa koinè culturale e di quella che fu la civiltà sefardita nelle terre dell’Impero Ottomano. Uno dei più interessanti saggi su questa vicenda è contenuto nel libro Cultures of the Jews (Schoken Books, New York), curato da David Biale, professore di Storia Ebraica alla University of California, saggio oggi ristampato e che vinse il National Jewish Book Award nel 2002.
Ma a simbolo o emblema di quella che fu la vita degli ebrei in questo angolo del Mediterraneo, vorrei riportare qui una storiella. Un giorno mi capitò di assistere alla seguente conversazione tra due amici. Uno chiedeva all’altro: “Come mai parlate lo Judeo-Espaniol in casa?”.“Perché noi siamo greci. E voi come mai lo parlate?”, chiedeva. “Noi siamo turchi”, ribatteva l’amico.
In questa breve conversazione, che sembrerebbe surreale a un osservatore esterno, è racchiusa la storia della Diaspora Sefardita e della sua lingua meravigliosa, il ladino. Parlando il castigliano, gli ebrei nella Spagna medioevale vi avevano aggiunto delle espressioni ebraiche, creando così un idioma molto peculiare. Dopo l’espulsione, le comunità marrane in Europa Occidentale e nel Nuovo Mondo conservarono per un certo tempo i legami linguistici con il Castigliano e ne seguirono l’evoluzione. Gli Ebrei Sefarditi di Salonicco, Costantinopoli, Smirne e Adrianopoli, senza contatti con il paese di origine, usarono invece il Ladino, un linguaggio che ebbe un’evoluzione propria, accettando termini greci, turchi e francesi, per oltre mezzo millennio, analogamente a quanto avvenne con gli Ebrei Askenaziti, che mantennero un tedesco medioevale con termini ebraici: lo yiddish. Un’importante differenza con lo Spagnolo della penisola Iberica fu l’uso, per la scrittura del ladino, dell’alfabeto ebraico di Rashi. Già dall’inizio vi erano state molte differenze tra spagnolo e judeo-espaniol. Ad esempio, gli Spagnoli usavano la parola Diòs, mentre gli Ebrei, per non attribuire un carattere pluralistico a tale termine usavano il singolare Diò. Anche per la domenica non si usava il termine domingo, ma il termine alhad derivato dall’Arabo.
Alcune parole erano articolate in maniera diversa, secondo la locazione geografica. Ad esempio figlio poteva essere pronunciato fijio, hijio o ijio. La lettera n era spesso sostituita dalla m: nuestro=muestro. Inoltre vi erano termini particolari come meldar (studiare la Bibbia e per estensione, leggere) o arcaici come ajuntar=unir (unire), finar=morir (morire). Altre parole derivavano dall’Ebraico: had-gadya (folla), oseh-shalom (andare in pensione). Molte parole di origine francese entrarono in uso dal diciannovesimo secolo, ad esempio: dezirar da désirer=desiderare, malorozo da malheureux= infelice, engazada da engagée=fidanzata.
Inizialmente il Ladino (chiamato anche Judezmo), consisteva di traduzioni dall’ebraico al latino; infatti, il suo nome deriva dal termine enladinar= rendere in lingua latina. La cultura rabbinica produceva in realtà opere esclusivamente in ebraico, considerando il ladino a un livello inferiore. Infatti, nel 16° e 17° secolo vi furono un importante numero di pubblicazioni nelle città di Salonicco, Edirne, Istanbul e Safed, i centri principali della cultura ebraica sefardita. Un esempio per tutti è lo Shulchan Aruch di Joseph Caro. Fondamentale fu la traduzione in ladino della Torà a Istanbul, nel 1547, di Eliezer Gershon Soncino; analoga traduzione apparve in caratteri latini nel 1553 a Ferrara. Tuttavia l’opera principale della letteratura ladina fu senza dubbio il Me-am Loez, di Jacob Houlli, un commentario biblico, la cui pubblicazione iniziò nel 1730 e continuò dopo la morte dell’autore. Scopo dell’opera? Spiegare il testo biblico alle masse; in realtà, la pubblicazione fu una conseguenza diretta della formazione di comunità di seguaci di Shabbatai Zvi (Donmeh), la cui consistenza numerica, ad un certo punto, era quasi pari a quella degli ebrei “rabbinici”, in special modo nella città di Salonicco. Il 18° secolo rappresentò l’apice della produzione letteraria in ladino. Furono date alle stampe delle opere di poesia religiosa come Copias de Yosef Ha- Zaddik, di Abraham di Toledo (Istanbul, 1732), e Los Massiyot del Sinior de Yaakov Avinu (Istanbul 1748) e di letteratura etica come il Sefer Shevet Musar, di Eliyahu Hakohen di Izmir che apparve prima in ebraico (1712) e poi in ladino (1742). A metà del 19° secolo, tutti i generi rabbinici con esclusione dell’Halakhah, erano ormai rappresentati nella letteratura ladina.
Frattanto anche l’Haskalah (l’Illuminismo ebraico), si faceva strada tra gli ebrei sefarditi nell’Impero Ottomano; a Livorno nel 1778 fu pubblicato il libro in ladino Guerta de Oro, di David Moses Attias su alcuni aspetti dell’Haskalah.Nel 19° secolo la comunità sefardita dell’Impero Ottomano, con la costituzione di nuovi stati nei Balcani, si frammentò e fu divisa in stati nazionali (Serbia, Bulgaria, Grecia), ognuna con un forte richiamo nazionalista e una lingua propria predominante. La rivoluzione dei Giovani Turchi creò uno Stato in cui il sistema educativo era basato sulla lingua turca. Nello stesso periodo, l’Alliance Israélite Universelle, fondata nel 1860 con lo scopo di aiutare l’emancipazione degli Ebrei, creò un sistema educativo che, all’apice della sua influenza, contava 183 scuole e 43.700 studenti dall’Iran al Marocco.
Essendo stati i primi Ebrei a essere stati emancipati, gli intellettuali ebrei francesi si sentivano l’avanguardia della modernità nel bacino del Mediterraneo. L’Alliance esercitò quindi una grande influenza tra gli Ebrei Sefarditi e fu responsabile della diffusione del Francese nella borghesia ebraica del Levante; fu così che il Francese divenne parte della cultura Sefardita. Molte famiglie aristocratiche cominciarono ad abbandonare il ladino a casa e la lingua stessa mutò profondamente accogliendo un gran numero di termini francesi; tuttavia la gente restava ancora legata al ladino. Fino alla seconda metà del 19° secolo l’ebraico continuò a essere il veicolo per la circolazione delle notizie e delle idee fra i mondi sefarditi e askenazita; ma parallelamente cominciarono ad apparire giornali in ladino: il primo fu La Buena Esperansa (Smirne, 1842), che ebbe una breve esistenza, ma fu nuovamente pubblicato da Aaron Hazan, dal 1871 al 1930. Altri giornali in ladino furono editati a Istanbul, Salonicco e Sofia. Furono anche pubblicate le traduzioni di novelle popolari sui giornali e le traduzioni di drammi, nonchè opere di Shakespeare e Molière. Tutto questo fervore nel ladino secolare fu accompagnato da un contemporaneo declino nella stessa lingua delle pubblicazioni religiose, ma, con la decadenza dell’Impero Ottomano, il ladino aveva ormai iniziato il suo lento ma inesorabile tramonto.
La conoscenza del Turco fu ritenuta indispensabile per l’affermazione sociale e per il servizio nelle alte sfere dell’amministrazione Ottomana; inoltre con l’avvento al potere dei Giovani Turchi, la “turchizzazione” linguistica divenne una delle priorità del nuovo governo; per parte sua, l’Alliance era determinata a sradicare il giudaico-spagnolo come parte della sua missione civilizzatrice; nelle sue scuole il ladino fu bandito. Si venne così a creare una situazione nella quale il ladino era perdente; il francese era il linguaggio della civilizzazione, l’ebraico la lingua della religione e il turco (o le rispettive lingue nazionali in Serbia, Bosnia, Bulgaria e Grecia), l’idioma del Paese ospite, e tutti e tre avevano la priorità sul ladino. Nel 1930 il numero di chi parlava ladino era già diminuito; in Turchia l’adozione dell’alfabeto latino fece si che gli Ebrei cominciassero a scrivere il judeo-espaniol in caratteri latini, abbandonando la tradizionale scrittura ebraica di Rashi.
L’ultima spiaggia del ladino rimase Salonicco, dove sopravvisse, fino al 1941, El Mesajero, l’ultimo giornale ladino scritto con i caratteri di Rashi. La deportazione degli Ebrei distrusse quel mirabile idioma, insieme alle Comunità sefardite che ne furono la culla. La comunità di Salonicco fu decimata e la maggior parte dei sefarditi di Sarajevo e Belgrado perì. Gli ebrei bulgari e turchi sopravvissero traumatizzati alla guerra e molti emigrarono in massa. Nella seconda metà del XX secolo, nelle terre dove fiorì la lingua e la cultura ladina, poco rimase. La maggior parte di coloro che lo parlavano si trasferì in Israele dove tuttavia non sopravvisse allo sradicamento. Oggi il ladino è parlato da non più di 200.000 persone, per lo più anziani, a New York e a Buenos Ayres. In Israele vi sono circa 11.000 ebrei che parlano ladino, ma la lingua non è più usata dalle nuove generazioni.