di Roberto Zadik
Scienza e valori religiosi, nel corso della storia, si sono trovati spesso in conflitto fra loro; ora più che mai, in questo ventunesimo secolo, il dibattito e il confronto fra questi due ambiti si rinnova e molte volte si inasprisce.
Cosa prescrive la tradizione ebraica e quali sono le differenze fra ebraismo e le altre fedi riguardo a tematiche complesse e sempre attuali, come fecondazione assistita, aborto o eutanasia? Chi può decidere riguardo alla nascita di un feto o alla fine della vita di una persona? Come affrontare queste situazioni nella società di oggi, sempre più multiculturale e multietnica, e come si pongono Italia e Francia verso il rispetto della vita e dei valori religiosi e la pressione, invece dei laici e di chi si distacca dai valori tradizionali, in nome della scienza e della modernità?
Questi argomenti, molto delicati e difficili non solo da affrontare ma anche da risolvere a livello pratico e applicativo, ma senza dubbio stimolanti, sono stati trattati, lunedì 9 febbraio durante la serata di Kesher intitolata “Sfide bioetiche in una società multiculturale”.
Al centro del dibattito, introdotto dal direttore di Kesher, Rav Roberto Della Rocca, due ospiti importanti come l’autorevole filosofa francese Catherine Chalier, membro della commissione bioetica del Consiglio di Stato, già ospite della comunità milanese al festival “Jewish and the city” e il Rabbino Capo di Roma, Rav Riccardo Di Segni. “Queste tematiche” ha sottolineato Rav Della Rocca nella sua introduzione alla serata, “sono molto complesse ma se ne parla molto nella tradizione ebraica dove, fin dai tempi antichi così come oggi, medici, filosofi e rabbini ne hanno discusso lungamente. Nella nostra epoca siamo sempre più chiamati a affrontare queste sfide della bioetica e ad attingere dai valori ebraici come fonte d’ispirazione”.
In sala fra il pubblico personalità comunitarie come il Rabbino Capo Rav Alfonso Arbib, Giorgio Mortara e David Fargion, rispettivamente presidente nazionale e milanese dell’Ame (Associazione Medica Ebraica ) e David Piazza direttore del progetto editoriale Morashà, così come esponenti del mondo cattolico come Don Pier Francesco Fumagalli, viceprefetto dell’Ambrosiana.
A cominciare la discussione è stata Catherine Chalier che ha spiegato chiaramente e con profondità il suo pensiero riguardo a concetti importanti come il Bene comune e la tutela della vita e dell’integrità fisica e soffermandosi sulla fecondazione assistita e l’aborto. “L’etica è fondamentale per proteggersi dall’egoismo e dall’individualismo, che sono una minaccia costante e crescente di questa società contemporanea”, ha sottolineato Chalier, specificando che “in Francia la laicizzazione della società si scontra con i valori morali e della tradizione ebraico-cristiana senza specificare le differenze e tralasciando spesso e volentieri ciò che dicono i testi ebraici in materia”.
Come trovare un compromesso fra mondo laico e religiosi? Fra scienza e religione? e possono i valori della fede ignorare o scavalcare anni di studi scientifici e medici? Nel suo importante intervento la pensatrice e docente universitaria insiste sul fatto che “nel mio Paese si parla di visione ebraico-cristiana della Bioetica facendo una gran confusione fra le fedi che invece presentano orientamenti decisamente contrastanti su vari punti”.
Fra i suoi esempi la Chalier ha evidenziato varie diversità fra ebraismo e cristianesimo. Riguardo al concetto di dignità umana, ad esempio, la docente ha ricordato che secondo la Torah, ogni essere umano è degno perché “creato bezel Elohim, direttamente da Dio e a Sua immagine e somiglianza”. Ma come mettere in relazione questo principio con pratiche mediche diffuse come l’aborto, la selezione degli embrioni e l’utilizzo di essi per esperimenti? Per il cristianesimo la vita comincia da subito, dal concepimento, e queste pratiche sono tassativamente vietate, nonostante oggi vengano ampiamente applicate in ambito medico. Da alcune frange cattoliche, l’aborto e la fecondazione assistita vengono paragonate all’eugenetica e alle pratiche tipiche dei regimi totalitari, di controllo delle nascite.
Molto cambia, invece, per la tradizione ebraica. Nella visione ebraica dipende dai casi ed essa è molto sfaccettata al suo interno. Infatti l’embrione ai primi mesi non viene considerato ancora una forma di vita in senso stretto e, a questo proposito, un famoso rabbino come Rav Israel Jakobovitch afferma che se la madre è in pericolo di vita mentre ha in grembo il feto, si privilegia la sua vita rispetto a quella embrionale. Ma cosa succede in caso di embrioni che rischiano di avere gravi malformazioni o di nascere ciechi e se ci sono due fratelli, uno che nasce sano e l’altro malato? Naturalmente bisogna valutare attentamente ogni situazione: se il feto malato è ancora a livello embrionale, in alcuni casi, spiega la Chalier, in casi particolarmente gravi, secondo alcuni si può effettuare un aborto. Se invece ci sono due fratelli, si può curare quello malato con il sangue di quello sano e questo è molto positivo.
Proseguendo con le sue argomentazioni, la filosofa Chalier, si è soffermata lungamente anche sulle donne, sulle gravidanze e le fecondazioni. Nel suo intervento ha parlato di quelle persone che aiutano coppie sterili ad avere figli, dicendo che “in Francia queste pratiche sono considerate con grande severità, mentre in Israele ciò è permesso anche se in casi particolari e ben definiti”. Secondo lo Stato ebraico infatti la donna deve essere ebrea, divorziata da precedenti vincoli matrimoniali e una volta consegnato il bambino alla coppia non può più reclamare alcun diritto su di lui. “Questo è paradossale perché la Francia, che si proclama tanto laica e aperta d’idee, su queste cose si rivela molto tradizionalista, mentre in Israele, che è uno Stato ebraico con una forte presenza religiosa e tradizionalista, c’è molta più apertura su questo”.
Tanti sono stati dunque gli argomenti e gli spunti della serata e di grande interesse è stato l’intervento del Rabbino Capo di Roma, Rav Riccardo Di Segni. Ribadendo che quando si parla di bioetica c’è una grande confusione e che spesso e volentieri i pareri della tradizione ebraica vengono tralasciati o mischiati in una visione ebraico-cristiana, il Rav ha sottolineato l’importanza della Torah e dell’Halakhà riguardo a queste materie. “Bioetica è un termine moderno ma di nascite, diritto alla vita ed eutanasia se ne parla da tempi antichissimi”. Nel suo bell’intervento il Rav ha proseguito citando il primo capitolo del libro di Shemot, Esodo. “Pensiamo al celebre caso delle levatrici e agli interrogativi che esso pone al suo interno. Si può uccidere prima della nascita o dopo? È lecita la selezione fra nascituri? La tradizione riporta vari orientamenti e come spesso accade nel pensiero ebraico ci sono più opinioni anche molto discordanti fra loro”.
Parlando di laici e religiosi, fra i medici e gli scienziati, Di Segni sottolinea che “spesso e volentieri si ragiona in maniera troppo netta e tagliata con l’accetta, ma le sfumature e i punti di contatto sono maggiori di quanto si possa pensare fra questi due mondi”. Esiste comunque, ribadisce il Rav, “un grande conflitto in questi anni fra le leggi europee (si pensi alla shechità o alla circoncisione) e la visione ebraica e spesso conciliare legislazione e religione è molto complesso”. Il Rabbino Capo di Roma è intervenuto su vari argomenti, dalla fecondazione assistita alla bioetica militare, a tutti i casi in cui da soldati non si sa come comportarsi davanti al nemico, come affrontarlo e curarlo se malato, citando diverse fonti bibliche e diversi rabbini come Rav Steinberg, medico e grande pensatore.
Un dibattito insomma molto stimolante, al quale sono seguite numerose domande da parte del pubblico.