di Marina Gersony
Quella che state per leggere è la storia di una casa leggendaria nel mondo del design e dell’architettura, ma è anche un’epopea familiare appassionante e ricca di colpi di scena di chi, suo malgrado, si è trovato a dover affrontare la grande tragedia del secolo scorso.
Tutto ebbe inizio intorno agli anni Venti con una coppia di giovani ebrei, Fritz Tugendhat e sua moglie Grete. Entrambi provenivano da facoltose famiglie ebree tedesche di industriali e commercianti che avevano vissuto a Brno, nell’allora Cecoslovacchia, per diverse generazioni. Lei era al suo secondo matrimonio e con Fritz aveva coronato il sogno di una nuova vita. Niente di meglio, dunque, che iniziarla con una casa costruita su misura secondo i propri canoni estetici e la propria Weltanschauung. Dopo alcune ricerche, i due giovani decisero di affidare il progetto a un architetto tedesco all’epoca ancora sconosciuto. Il suo nome era Mies van der Rohe, futuro direttore del Bauhaus e maestro indiscusso del Movimento Moderno. Oggi lo chiameremmo archi-star.
«Inizialmente i miei genitori pensarono di affidare il progetto ad Arnošt Wiesner, un architetto ceco -ricorda Daniela Hammer-Tugendhat, storica dell’arte e figlia minore di Fritz e Grete -, ma poi mia madre propose di andare anche a Berlino per parlarne con Mies van der Rohe. Lei e mio padre rimasero talmente colpiti dalla sua personalità che decisero subito di affidargli il lavoro».
Di sicuro la giovane coppia non aveva idea di cosa li aspettava.
Daniela, insieme ad alcuni parenti stretti, agli storici dell’arte e ai restauratori, è una delle tante voci che ricompongono l’affascinate e drammatica storia di Villa Tugendhat in un bellissimo documentario di Dieter Reifarth; un filmato che intreccia aneddoti, curiosità e digressioni e che verrà proiettato nell’ambito della seconda edizione di Milano Design Film Festival, 9-12 ottobre.
«I nonni possedevano una villa Jugendstil che esiste ancora oggi con un enorme parco -, racconta Daniela -. Per il matrimonio regalarono a mia madre la parte superiore del giardino e hanno finanziato anche la casa. La famiglia di mia madre era molto ricca. Lei aveva 27 anni e non se la sarebbe mai potuta permettere. La casa era l’anticipo della sua eredità perché, a differenza dei suoi due fratelli, non era coinvolta nelle fabbriche».
Mies van der Rohe arrivò a Brno nel settembre del 1928. Rimase talmente colpito da quella terra suggestiva e dal panorama meraviglioso, che accettò subito l’incarico. I lavori iniziarono nel 1929, la casa fu terminata in quattordici mesi e la famiglia vi si trasferì nel dicembre 1930. Erano tutti sorpresi da questo edificio moderno, solido ed insieme etereo, quasi non avesse peso, dove i bambini non starnutivano per la paura che tutto potesse rompersi in mille pezzi. «Pareti di vetro a scomparsa, camere alte e, soprattutto, questa noblesse – annotò Ruth Guggenheim Tugendhat nei suoi ricordi di gioventù -. Anche allora, tutti sapevano che questa casa era speciale».
I Tugendhat vissero anni sereni con i loro primi tre figli, Hana (la figlia di Grete dal suo primo matrimonio), Ernst e Herbert. Ma la situazione presto cambiò e purtroppo in peggio. A seguito dell’Anschluss della Germania nazista e dell’Austria, nel marzo 1938, il successivo obiettivo di Hitler fu l’annessione della Cecoslovacchia. I Tugendhat non ebbero nessuna scelta e furono costretti a partire per la Svizzera per sfuggire ai nazisti e alla minaccia dello scoppio della guerra imminente. Ma anche la Svizzera si rivelò soltanto una tappa di passaggio perché nel gennaio 1941 dovettero trasferirsi di nuovo, e questa volta in Venezuela, dove nacquero Ruth e Daniela. Quest’ultima, a differenza dei fratelli maggiori, non aveva mai vissuto in quella casa: «Mia madre è stata investita alla fine del 1970. Avevo 24 anni e purtroppo non ho avuto l’opportunità di parlare molto, con lei, della villa. Ne abbiamo parlato soltanto quando siamo andate a visitarla nel 1969 e nel 1970, ma mai prima di allora».
Quando Daniela vide la villa per la prima era una giovane studentessa a Vienna: «È stato impressionante vedere entrare mia madre in quella che era stata casa sua per la prima volta dopo la guerra». E chissà cosa avrà provato dentro di sé Grete, invecchiata ma non spezzata dalle avversità, nel vedere la sua casa svuotata da tutto quello che era stata prima, quando i bambini andavano su e giù dalle scale o giocavano in giardino riempiendo di risate quel nuovo, surreale e crudele silenzio. Chissà cosa avrà pensato nel rivedere quelle stanze, le pareti spoglie, lo straniamento di un mobile scomparso o spostato, i fantasmi delle persone che l’avevano abitata dopo il loro forzato esilio.
Una casa che è una testimonianza di eventi epocali. Ne vide di tutti i colori: vi abitò la famiglia di Albert Messerschmidt, industriale di aeroplani e personaggio di spicco del Terzo Reich; venne occupata dalle truppe dell’Armata Rossa, dopo il crollo della Wehrmacht, sul fronte orientale (durante queste occupazioni la casa fu devastata); nei primi anni del dopoguerra ospitò una scuola di danza privata, in seguito fu adibita a sede di un ospedale pediatrico, negli anni ‘80 fu arredata con mobili moderni dall’apposito organismo statale dell’allora Cecoslovacchia e adibita a riunioni municipali. Solo dal 2012, la villa è stata ristrutturata definitivamente e riaperta al pubblico. Una battaglia lunga e difficile per i membri superstiti della famiglia, che finalmente hanno potuto vedere la loro casa risplendere e celebrarla nel riconoscimento a simbolo e monumento modernista.
Il documentario di Dieter Reifarth sulla famiglia Tugendhat si potrà vedere nell’ambito del Milano Design Film Festival 2014 (seconda edizione), che si svolgerà dal 9 al 12 ottobre all’Anteo spazioCinema.
Un festival importante e innovativo che propone temi e linguaggi inediti e originali su design, architettura e urbanistica. Saranno quattro giorni di proiezioni gratuite con oltre 50 titoli in programma, incontri, conversazioni e un concorso a tema nelle quattro sale milanesi.
«Abbiamo raccolto l’entusiasmo da parte del pubblico della passata edizione – affermano le curatrici, Antonella Dedini e Silvia Robertazzi, determinate a far conoscere alla città l’importanza e il senso del design e dell’architettura -. Per questo la scelta di una sede più grande, con più posti a sedere, sale di diversa capienza, una libreria, un ristorante.
L’obiettivo – spiegano ancora le curatrici – è creare un appuntamento a Milano, per raccontare le nostre città, gli oggetti di cui ci circondiamo, gli edifici, le persone che lavorano per dare vita a prodotti di design. Oggi si comunica e ci si informa attraverso le immagini in movimento: una comunicazione rapida, empatica, sensoriale. Milano Design Film Festival con gli oltre 50 film in calendario non è un evento di nicchia, per pochi, ma un’occasione per scoprire cosa c’è dietro al processo creativo. Da qui l’esigenza di aumentare i posti per le proiezioni e un’offerta di palinsesto diversificata».
Per l’occasione, la multisala di via Milazzo 9 verrà rinnovata con il supporto degli sponsor aderenti al progetto, creando un temporary design site, all’interno dello storico locale milanese degli anni Trenta. Il Festival, patrocinato e supportato dal Comune di Milano e patrocinato da Milano Expo 2015, è un segno forte per i milanesi e per la città. Un appuntamento, insomma, assolutamente da non perdere.
(Il programma dettagliato sul sito www.milanodesignfilmfestival.com).
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