di Carlotta Jarach
Una lectio magistralis molto coinvolgente quella di domenica sera, al Franco Parenti, in cui Salvatore Veca, Professore di Filosofia Politica all’Istituto di Studi Superiori di Pavia, ha parlato del valore, del senso e dell’etica della libertà. Da Walzer a Boccaccio, da Gaber alla dottrina buddhista, Veca ha attinto a grandi figure e a numerose fonti nel suo approfondimento circa questo tema così interpretato ma ancora interpretabile.
“Valori come la libertà non sono dati naturali […]. Essi sono l’esito di processi, vicende e conflitti”; non esiste libertà se non dopo una liberazione da catene. Ricorda che fosti straniero in terra d’Egitto: “il nesso fra etica e libertà- asserisce Veca – è generato dalla congiunzione fra la memoria dell’essere straniero e la memoria del collo libero dalle catene di una qualche schiavitù”.
Il Professore continua poi la sua trattazione, concentrandosi su quale sia il valore della libertà, e su una sua possibile negoziabilità. È forse più importante di altri valori, come equità sicurezza responsabilità efficienza o solidarietà? -si chiede. E, per commentare ciò, ricorda Marx e la “Questione ebraica”, con la sua formulazione e distinzione tra citoyen e bourgeois; e ancora, il valore della libertà è da ricercare nello sguardo del partecipante, in quell’ “equilibrio precario e instabile fra opzioni e legature” dove si vengono a creare tutte le possibilità di scelta e di vita che rendon conto ‘’del mutevole valore della libertà’’. E dopo aver riflettuto sul rapporto con la giustizia, Veca affronta ciò che riguarda il senso della libertà: esso “può evocare il suo nesso con il processo di liberazione, quando qualcuno prova l’esperienza del “collo libero”.
Diverso è il senso della libertà per chi la eredita e può sottovalutarla perché intrinsecamente non scarsa e accessibile a buon mercato. […] Del resto, non c’è valore sociale che sia immunizzato rispetto al rischio di perdita e dissipazione”. Un valore sociale, e come tale richiedente uno spazio sociale, relazioni interpersonali. Ed ecco che si inizia a intravedere quella che è l’etica della libertà, quell’ “esperienza del limite”. La libertà diventa così un fenomeno meno astratto, addirittura concreto, diviene oggetto di responsabilità, oggetto di convivenza. È reciprocità: “la libertà da un punto di vista etico, non può essere appannaggio di qualcuno. Deve indicare, allo stesso modo, lo status di chiunque”. Noi, liberi perché inseriti in una collettività non oppressa, non umiliata, non schiavizzata. Noi, come diceva Gaber, partecipi per affrontare, senza troppi intoppi, le difficoltà del deserto.
Veca termina il suo intervento con un elogio a un grande protagonista dell’illuminismo tedesco: Lessing, paradigma di colui che è libero di porre domande e di ricercare la verità. E a Jean Améry, l’intellettuale ebreo torturato ad Auschwitz e morto suicida: “cosa sia la libertà lo sa chiunque abbia vissuto nell’illibertà. Che l’eguaglianza non sia un mito ne sa qualcosa chi fu vittima dell’oppressione”.