di Alfonso Sassun
Ho partecipato con curiosità al convegno “A Scuola nel 5772” organizzato a Scuola il 30 gennaio dalla professoressa Dany Maknouz.
Premetto che il tema mi coinvolge in quanto prima di approdare all’incarico di Segretario Generale della Comunità Ebraica di Milano ho operato per quasi 30 anni nell’ambito della formazione ed ancora oggi mi tengo aggiornato sulle tematiche ad essa inerenti.
Il retrogusto che mi è rimasto al termine del convegno è che gli interventi di alcuni relatori e alcuni partecipanti lasciassero intravvedere una “sana preoccupazione” circa la possibilità reale per il docente di perdere il ruolo centrale nel sistema di interazioni coi discenti a causa della tecnologia.
Tutto ciò richiama alla mia mente scenari già visti durante le prime implementazioni di automazione nell’industria, quando sindacati ed operai urlavano circa le possibilità di perdere il posto di lavoro per effetto dell’automazione. Così non è stato. Perlomeno la causa principale della disoccupazione nell’industria non è stata certo l’introduzione dell’automazione, anzi al contrario l’operaio si specializza e diventa la “mente pensante” della macchina automatica.
Ho seri convincimenti che così sarà anche per la docenza. Devo dire che non sono un paladino della tecnologia fine a se stessa, ricordo il primo cellulare, me lo sono comperato quando un giorno, forse alla fine degli anni ’80 o nei primi anni ’90, tornando a casa dal lavoro sull’autobus mi sono accorto che ormai tutti gli extracomunitari ne erano in possesso.
A metà degli anni ’90 l’azienda di formazione per la quale lavoravo siglò un importante accordo con un colosso americano per la distribuzione in Italia di prodotti e-learning (di fatto dei bei libri elettronici da fruire in autoformazione). L’accordo prevedeva di corrispondere all’azienda americana importanti provvigioni, parliamo di parecchi miliardi di lire dell’epoca. Io espressi parere assolutamente contrario convinto ora come allora che la sola tecnologia non può divenire o sostituire la docenza; considerai che nella migliore delle ipotesi si poteva pensare a forme “blended” di formazione che prevedevano l’intercalarsi di momenti tradizionali d’aula con momenti di rinforzo e di ripasso in auto formazione con prodotti e-learning. Ritengo che siano indispensabili, e soprattutto richiesti, per l’allievo quei momenti di interscambio di esperienze, di pareri e così via, sia con il docente sia con gli altri discenti.
La tecnologia deve essere il mezzo e non il fine. Questo a mio parere deve valere anche per la Scuola. La tecnologia e la multimedialità devono, gioco forza, divenire quei fattori moltiplicativi di efficacia della formazione. Siamo di fronte ad una grande sfida. I docenti che si astraggono dal relazionarsi, in maniera corretta, con la tecnologia alla lunga saranno perdenti.
Non si può trascurare il fatto che i ragazzi, ed anche i bambini ormai, hanno nel loro DNA il touch, l’ipad, l’ipod e chi più ne ha più ne metta.
E allora qual è il compito del docente del 5772 in questo scenario?
Come ha detto rav Alfonso Arbib nel suo intervento, oggi internet mette a disposizione una serie di informazioni un tempo impensabile. Si può accedere a testi ormai introvabili. E questo diventa il primo compito fondamentale del docente: deve insegnare come si ricercano le informazioni, come si verificano e si validano le fonti, come si utilizzano. Non sempre quello che è riportato su Wikipedia è corretto!
Dal 2002 al 2008 mi sono occupato di progetti formativi che fanno uso di simulatori (HW e SW) rivolti ai medici. Parlando con i dottori nella fase progettuale, mi dicevo che ormai tutti i pazienti sono medici! Arrivano in studio che pensano di sapere tutto sull’anamnesi e sulla diagnosi e si cimentano anche nello scegliere la terapia. Mutatis mutandis presto sarà così anche nella scuola, se non lo è già. Questo allora è il secondo, che se volete legato al primo, compito del docente: ovvero deve indicare la strada, il percorso, il cammino.
Un terzo punto è poi fondamentale: la tecnologia consente di rendere l’unità didattica maggiormente partecipativa, si possono fare simulazioni, costruire esperienze, condividere conoscenze. Se il motto della formazione è “che non si impara sentendo e vedendo ma si impara facendo” questo oggi è accessibile a tutti.
Per fare tutto ciò, parafrasando quanto riferito da Luca Toschi, relatore del convegno, bisogna imparare a scrivere in ambiente multimediale e non solo a leggere come siamo abituati fino ad oggi.
Allora il docente deve mettersi in gioco riprogettandosi e riprogettando la propria docenza. Non parliamo della tecnologia che diventa la docenza: questa sarebbe una “docenza nuova” parliamo quindi di una “nuova docenza”; di una nuova modalità di trasferire conoscenze, esperienze e competenze. È quello che oggi i discenti si aspettano.
Da questo cammino obbligato passa la tanto discussa “Qualità della Scuola”: le lavagne multimediali da sole non servono a granché, perché da puro costo diventino un investimento il docente deve governarle, deve cavalcare la tecnologia: l’immagine metaforica è quella dei kamikaze giapponesi durante la seconda guerra mondiale che a cavalcioni sui missili agivano sul volantino per centrare in pieno l’obiettivo. Il docente deve diventare il kamikaze buono dell’insegnamento.
Siamo di fronte ad una sfida senza precedenti che il corpo docente deve cogliere.
Come insegnano i maestri (e non me ne vogliano i Rabbini) in tutte le cose c’è l’istinto del bene e quello del male; il nostro compito è governare quest’ultimo e portarlo a servizio del primo. Questo vale anche per la tecnologia: dipende da come la si usa. Buon lavoro a tutti.