di Abigail Klein Leichman
Samuel Capelluto conosceva a malapena un paio di parole in ebraico o inglese quando, all’età di 15 anni, è arrivato in Israele per iniziare a frequentare la Naale Elite Academy, con un programma interamente sovvenzionato dal Ministero dell’Educazione che permette a giovani adolescenti ebrei all’estero di trascorrere gli ultimi tre anni di liceo in Israele.
Pur avendo preso la decisione in modo del tutto autonomo, appena atterrato in Israele da Milano, Samuel ha iniziato a temere di aver commesso un grande errore. Non era neppure in grado di comunicare con il rabbino della scuola Sha’alvim Yeshiva che era andato ad accoglierlo all’aeroporto.
“Durante le prime due settimane, continuavo a piangere – ammette -. Chiamai i miei genitori e dissi loro che volevo tornare a casa. Loro mi risposero che sarei stato il benvenuto, ma che forse valeva la pena di provare a resistere un po’ più a lungo. Uno dei compagni della scuola aveva avuto un’esperienza simile alla mia e mi disse che un giorno, tutto questo si sarebbe trasformato in una storia divertente da raccontare – e aveva ragione. Certo, quando non sto bene vorrei ancora avere mia mamma vicino, ma per il resto, ci si abitua in fretta.”
Non solo Capelluto si è abituato alla Sha’alvim in un paio di mesi, ma ha iniziato ad amare ogni aspetto della scuola e della sua vita in Israele. Il fatto che, durante il primo anno, tutte le sue lezioni fossero in inglese e le 15 ore settimanali di Ulpan che tutti gli studenti del Naale sono tenuti a svolgere, hanno fatto sì che le sue competenze linguistiche migliorassero in modo vertiginoso e in brevissimo tempo.
“Il Naale è un ottimo programma. Ti da l’opportunità di venire qui da giovane e ti rende più maturo, facendoti sentire a tuo agio sia con l’ebraico che con la vita in Israele. Ti permette di incontrare un sacco di amici da tutto il mondo” dice Capelluto che, al momento, divide la stanza con un ragazzo brasiliano e uno francese ma che, fino all’anno scorso, viveva con giovani provenienti dall’India, Belgio, Stati Uniti e Canada.
A distanza di un anno e mezzo da quel difficile inizio, Samuel è in grado di conversare tranquillamente con i suoi compagni israeliani così come con gli altri membri del progetto Naale in inglese. Si è adattato altrettanto facilmente al passaggio da pasta e pizza a shwarma e falafel. Compiuti i 18 anni, ha in programma di arruolarsi nell’esercito per tutti e 32 i mesi di addestramento e di restare in Israele per il resto della sua vita.
Sentirsi parte di Israele
Capelluto ci tiene a sottolineare che quella da Milano non è stata una fuga. “Le cose si stanno facendo difficili in Europa ultimamente, ma l’Italia è un grande paese” dice. Nonostante ciò, in Italia si sentiva a disagio ad indossare in pubblico la sua kippà. “Mi sentivo strano perché tutti mi fissavano, così preferivo indossare un cappellino. In Israele mi sento a casa e non sento il bisogno di indossare cappelli per strada. È un paese di religione Ebraica e ognuno può decidere come esprimere la propria religiosità”.
La madre di Samuel è nata in Italia, ha fatto l’aliyà a 18 anni per poi tornare dopo un anno. “Ha incontrato mio padre ed è rimasta in Italia, ma desidera tornare qui”, spiega Samuel. L’anno prossimo la sorella maggiore arriverà in Israele per studiare diritto internazionale alla Hebrew University, mentre la sorella minore ha in programma di seguire il suo esempio intraprendendo il programma Naale, che offre ai propri partecipanti una vasta rete di scuole superiori e campus.
La madre di Samuel ha scoperto il Naale grazie ad un’amica e quando ne ha parlato con lui, Samuel si è dimostrato abbastanza interessato da informarsi se il programma offrisse una scuola superiore statale di stampo religioso. La Sha’alvim soddisfaceva tutti i requisiti e lui ha fatto domanda. “Sento che Israele è casa mia ed ero convinto che venire qui da giovane sarebbe stato l’ideale – dice Capelluto -. Penso sia la cosa migliore. Se si viene a 18 anni diventa difficile imparare la lingua e la cultura”.
Per quanto riguarda i suoi amici di Milano, “Erano tutti molto felici per me ma si domandavano ‘Ehy, perché ci lasci?’ L’unico aspetto difficile della mia decisione è stato lasciare la mia famiglia e i miei amici” dice Capelluto. Siccome sua madre è una cittadina Israeliana, anche Samuel lo è. Capelluto si ricorda con orgoglio del momento in cui ha ritirato il suo passaporto Israeliano all’ambasciata di Roma. “Sento di far realmente parte di Israele ora.” dice.
Una piccola Italia
E’ sicuramente difficile vivere in Israele senza parenti, ma Samuel trascorre spesso lo Shabbat a casa dei familiari di un suo amico e considera i propri compagni del Naale come una famiglia. I suoi genitori sono andati a trovarlo l’anno scorso per Hannuka e sua sorella maggiore in Gennaio.
Capelluto ha anche un altro tipo di famiglia: l’organizzazione volontaria Irgun Olei Italia, che assiste sia gli italiani prima e subito dopo l’aliya che i ragazzi dei programmi Naale e Masa Israel Journey. “Mi piace questa comunità perché ti fa sentire come in una piccola Italia in Israele” dice con un sorriso.
Il 26 e 27 Febbraio, Samuel ha in programma di partecipare ad uno Shabbaton per studenti e soldati sponsorizzato dalla Hevrat Yehudè Italia, un’organizzazione culturale fondata da immigrati Italiani che si occupa di aiutare persone di cultura italiana che vivono in Israele. Questa organizzazione ha il proprio quartier generale nel museo dell’arte Italo-Israeliana S.U. Nahon situato sulla Hillel Street di Gerusalemme e costituisce anche un punto di aggregazione della comunità italiana e una sinagoga.
Nel tempo libero, Samuel ama giocare a calcio e divertirsi con i suoi amici. Gli piace esplorare Gerusalemme e in particolare andare alla spiaggia di Tel Aviv con i suoi compagni di scuola. Come molti altri adolescenti israeliani, la sua aspirazione è quella di girare il mondo e sogna di andare in Sud America per un lungo viaggio dopo il servizio militare. “Vorrei visitare tutto il mondo se fosse possibile” dice.
Guardando al futuro, pensa che gli piacerebbe diventare psicologo o avvocato e non ha nessun dubbio sul luogo nel quale vorrebbe esercitare queste professioni. “Vorrei vivere qui e avere una famiglia qui” dice.
Samuel ha frequentato una scuola Chabad a Milano e ammira il Rebbe di Lubavich come esempio religioso anche se tenta di trarre ispirazione da tutti, secondo il comandamento biblico “v’ahavta l’re’echa kamocha” – ama il prossimo come te stesso.
“Si può imparare qualcosa da chiunque, anche se si hanno ideologie diverse. Siamo tutti una grande famiglia e dobbiamo amarci a vicenda” dice.