l’Università Statale di Milano ha dedicato un bel convegno internazionale alla Letteratura ebraica al femminile. Voci di donne che -soprattutto nel XX secolo-, hanno dato forma letteraria alla tensione tra identità, memoria e appartenenza a un mondo ebraico vissuto in rapporto dialettico con il mondo esterno. Voci diasporiche e israeliane che in questo difficile equilibrio trovano tensione emotiva e pane per nutrire la loro creatività. Tutte egualmente sensibili nel cogliere quel qualcosa di succulento e meraviglioso che si nasconde sotto il manto di una doppia identità.
Come ha detto al convegno la scrittrice ebrea argentina Ana Maria Shua, «amo il mio paese, l’Argentina, ed educo le mie figlie nell’amore per questa terra e nella coscienza, estranea e duale che, per quanto sia grande questo amore, nessuno di noi può essere sicuro di non doversi imbarcare un’altra volta, un giorno, sul vascello dei migranti. Brindo per la nave che portò i miei nonni polacchi in Argentina, per quella che portò il mio nonno libanese, per i vascelli sui quali forse si imbarcheranno, ancora erranti, le mie figlie, o i figli delle mie figlie, brindo per la mia argentinità e le mie contraddizioni, per mantenere l’identità nella diaspora, brindo per i vascelli di tutti i migranti. Come dice un’antica canzone sefardita, Perdemmo Sion, perdemmo Toledo, non c’è consolazione».
Le parole di Ana Maria Shua sono belle. E vibrano nelle profondità di quell’angolo nomadico ed errabondo che si nasconde nel cuore di ogni persona, non solo ebrea. Ma c’è chi, sempre di più, oggi, pensa debba esistere una consolazione definitiva al senso di perdita. Chi non se la sente più -e non a torto-, di brindare ai piroscafi dei migranti e dei fuggiaschi, e che non vuole più immaginare se stesso mentre si lascia tutto dietro le spalle: per questo, l’alyià oggi è tornata ad essere la risposta. Da Inghilterra e Francia -che ne detiene il record-, dall’Italia, a sorpresa, aumentano le partenze e le domande di immigrazione in Eretz Israel. In un’Europa che si arabizza sempre più, e i cui governi praticano una miope politica di appeasement col mondo islamico, spesso sottovalutando il pericolo islamista; in un’Europa che dimostra di non saper abbandonare il retaggio antisemita -che camuffa con l’antisionismo-, in crisi economica, di identità e di valori, c’è sempre di più chi sceglie Israele (che è in pieno boom economico). L’inchiesta del mese è dedicata a questo tema. La Sochnut ha appena riaperto un’agenzia in Italia e i dati, qui da noi, sono clamorosi, un incremento del 98 per cento rispetto all’anno scorso e domande in crescita per il 2013. Aliyà religiose, laiche, poco importa: ma tutte ugualmente animate dalla speranza che questo sia l’ultimo vascello di migranti su cui salire.
Fiona Diwan