c’è Vladimir Putin che, come se nulla fosse, il 19 febbraio ha fatto volare sui cieli della Cornovaglia, Gran Bretagna, i suoi caccia bombardieri (ve l’immaginate?). C’è Angela Merkel che a colloquio con Papa Francesco, il 21 febbraio, non ha esitato ad affermare che «la pace in Europa non è affatto scontata». C’è ancora l’Ucraina, un campo di battaglia; e poi c’è la Grecia sul lastrico ma galvanizzata dal sacro fuoco della rivincita e corteggiata da Putin, che tanto amerebbe ascriverla nel proprio raggio di influenza; e infine, ci siamo noi che, forse per la prima volta, ci rendiamo conto di quanto fosse rassicurante il mondo diviso in due blocchi di forze uguali e contrarie, l’Europa dell’Alleanza Atlantica e del Patto di Varsavia, e quanto quei due schieramenti ci abbiano in realtà regalato uno dei periodi di pace più lunghi della Storia di sempre. Un periodo finito e sepolto. Un brivido corre giù per la schiena: ma davvero c’è chi sta evocando il fantasma di una possibile guerra europea? A soli 70 anni dalla fine dell’ultima? Incredulità. Non siamo attrezzati, proprio no. Anestetizzati, come siamo, non solo da 35 anni di benessere ma anche da una classe politica che cerca l’appeasement a tutti i costi e che fa del politically correct il linguaggio della dissimulazione ipocrita dei problemi. Certo, qualche buona notizia c’è: i discorsi di Manuel Valls, ad esempio, o “l’anello della pace” che un manipolo di coraggiosi giovani musulmani norvegesi ha creato intorno alla sinagoga di Oslo, per dissociarsi da tagliatori di teste e islam radicale. Ma persiste “il grande nodo”, quello della Francia, con i suoi 6 milioni di musulmani arabi, un’immigrazione poco variegata e poco integrata. Sarà banale, ma che ne sanno di Racine e Corneille, di Chateaubriand e Hugo, di Dante, Ariosto e Leopardi, i giovani arabi delle periferie? Come trasmettere agli immigrati un retaggio culturale che va ben al di là dei libri di storia e letteratura ma che informa il tessuto profondo della coscienza civile europea e il suo cammino verso le società pluralistiche di oggi? Come si fa a far leggere libri abitualmente curricolari in Francia (ma anche in Italia, Germania…) come La notte di Elie Wiesel o L’ultimo dei giusti di Schwarz Bart o il Diario di Anna Frank a una classe di liceo composta per metà di arabi che si rifiutano di aprire quelle pagine ancorché di leggerle? Giovani che dimostrano di voler ignorare il retaggio storico-politico su cui si sono edificate le moderne Repubbliche nate dalle ceneri della Seconda Guerra mondiale? La questione è grave e complessa, non è detto che a breve non ci richieda di fare delle scelte. Nel frattempo conviene attrezzarsi. Come? Con una Comunità ebraica, la nostra, che sia forte e preparata, capace di far fronte alle sfide di cui sopra. Una leadership consapevole, determinata, lucida e generosa. Capace di risanare i conti ma anche di guardare fuori dalla finestra e captare i segnali in avvicinamento. Cercando alleati, avviando il dialogo interreligioso non solo con il mondo cristiano ma anche quello musulmano. Per questo, cari amici, dobbiamo andare tutti a votare per il rinnovo del Consiglio, il 22 marzo. Mai come oggi le antenne vanno rizzate e fiutato il vento.
Fiona Diwan