Caro lettore, cara lettrice,
durante la mia ultima visita a Yad Vashem a Gerusalemme, mi ha colpito un dettaglio che non avevo mai notato: c’è un vetro trasparente che divide in maniera netta ma non immediatamente percepibile l’area del Memoriale che racconta la vita degli ebrei prima del 1933 – e dell’avvento nazismo-, dall’esistenza ebraica dopo la Notte dei Cristalli, la Kristallnacht del 9-10 novembre 1938. Un semplice vetro, una cesura netta e impercettibile per ricordare l’accelerazione micidiale di un processo storico che – pur essendo stato in parte preparato dall’antigiudaismo cristiano dei secoli precedenti -, avrebbe potuto avere un esito ben diverso e meno tragico se Adolf Hitler non fosse mai nato. Come ci spiega lo storico Amos Elon in un libro che è un capolavoro di sintesi e di scrittura storica (The pity of it all, in inglese, Requiem tedesco in italiano, Mondadori), l’esistenza ebraica in Germania avrebbe potuto svolgersi in modo molto diverso senza l’avvento di quel leader paranoico, e questo vetro simbolico a Yad Vashem ce lo dice esplicitamente: prima di quel pogrom di vetrine infrante e di esistenze che andranno in frantumi, l’ombra che avvolgeva l’Europa avrebbe forse potuto sciogliersi e trasformarsi in luce, e non precipitare nell’inghiottitoio della guerra. Quel vetro di Yad Vashem è l’ombra, è la linea di confine, è la possibilità ancora viva che qualcosa di diverso possa prodursi.
Oggi, i sussulti totalitari e le velleità populistiche che agitano l’Europa e l’Italia, mi inducono a ripensare a quel vetro di Yad Vashem, a quella sottile separazione tra due universi. I nuovi populismi, la crescita delle formazioni di estrema destra, fanno certamente paura, ma il 2017 non è il 1933, e la storia non si ripete mai nella stessa maniera né con le stesse forme. Siamo ben lontani da quel confine, da quelle premesse, da quell’isteria. Le ombre di oggi non devono farci paura: l’ombra è il buio necessario che ci portiamo dentro, ed è proprio nell’ombra che il passato si fa presente permettendoci di essere vigilanti e lucidi. Io amo la verità della penombra, la sua luce che non acceca, la visione chiaroscurata. L’ombra che è sorella gemella della luce e non il suo contrario, che è il controcanto necessario dell’autenticità, che è il Bene che si fragilizza e si sfilaccia, che è la certezza che lascia spazio al dubbio e che fa parte dell’Essere. L’ombra è la risposta che fugge via, la possibilità rinnovata, il ricordo che produce anticorpi, come ci suggerisce lo scrittore e italianista Nicola Gardini. All’indomani delle feste solenni, dopo l’attraversamento dell’ombra nella dimensione salvifica dello Yom Kippur, dopo la gioia della festa dei Tabernacoli e il sentimento della precarietà del deserto con la sua Sukkà, dopo tutti questi giorni di festa, ecco mi piace l’idea di entrare nell’anno 5778 in compagnia di un bicchiere che si rompe sotto il tacco, un’umbratile gioia che ricorda e insieme esorcizza ogni forma di possibile buio.
Fiona Diwan