di Angelo Pezzana
Gilad, Eyal e Naftali rappresentati come topi presi all’amo, come la propaganda palestinese ha disegnato i tre ragazzi israeliani, esattamente come faceva l’iconografia nazista, riducendo gli ebrei a bestie. Alle immagini si aggiungono le parole della madre di uno dei probabili assassini in fuga, che con orgoglio ne difende l’atto criminale in nome della ‘liberazione’ della Palestina. Dall’altra ci sono le parole colme di pietà di Rachel Frenkel, madre di Naftali, che accomuna il proprio lutto a quello di tutte le madri che hanno perduto un figlio, arabo o ebreo non importa. Si possono equiparare due dolori e quindi rendere credibile una simmetria quando quasi tutta la storia del rapporto islam-ebrei – a cominciare da Maometto- è un tragico susseguirsi di persecuzioni e crimini? Eppure è questo che gran parte dell’opinione pubblica mondiale chiede a Israele: sentirsi responsabile come popolo di un crimine odioso,quello del giovane Mohamed Abu Khdeir, ucciso da una banda di teppisti israeliani, come ne avvengono però in ogni Paese, un’occasione da non perdere per rimetterla sul banco degli accusati, mentre l’infinita serie di innocenti cittadini israeliani, vittime di attentati, colpevoli soltanto di essere ebrei, non scuote più di tanto le coscienze del mondo occidentale. Ma è possibile? È possibile tollerare che tre ragazzini assassinati vengano rappresentati come topi, secondo un’iconografia che si ispira ai più rivoltanti clichè nazisti e il salotto buono occidentale non senta il bisogno di dire nulla?