A un anno dall’attacco all’Hyper Casher di Parigi
Yoav Hattab è stato ucciso il 9 gennaio 2015, a Parigi, dal terrorista islamico Amedy Coulibaly, nella tragica sequenza di orrore dopo l’assalto alla redazione di Charlie Hebdo. È una delle quattro vittime, uccise durante il sequestro di ostaggi al supermercato Hyper Cacher di Vincennes, dov’era entrato per acquistare una bottiglia di vino da portare agli amici che l’avevano invitato per shabbat. È morto cercando di sottrarre l’arma al sequestratore.
Aveva 21 anni, un sorriso contagioso e una storia speciale. Così scriveva in uno dei suoi ultimi messaggi su Facebook: «Io penso che la vita è un dono e non lo voglio sprecare, non sappiamo quale dono avremo domani, impariamo ad accettare la vita come viene perché ogni giorno conta».
Alla sua memoria è stato dedicato il docu-film Io sono Yoav, con la regia delle giornaliste Sabina Fedeli, Stefania Miretti e Amalia Visintini per Rai 3, che hanno ricostruito la vita di Yoav, da Tunisi, dove era nato, a Parigi, dove studiava, a Gerusalemme, dove è stato sepolto.
Secondo dei nove figli del rabbino di Tunisi. Benjamin Hattab, Yoav è cresciuto da ebreo in un Paese musulmano ed è morto, perché ebreo, in Europa. Apparteneva alla piccolissima e chiusa, ma ben integrata, comunità ebraica tunisina: nel suo Paese leggeva ogni giorno la Torah in sinagoga, frequentava la scuola Lubavitch diretta dal padre, portava la kippà e la stella di David al collo, ma era al tempo stesso uno dei tanti ragazzi di quartiere che parlano mescolando l’arabo al francese, appassionato di calcio e canzoni, orgoglioso d’aver votato alle prime elezioni libere dopo la cacciata di Ben Ali. Era un giovane uomo “particolare e universale”, secondo la bella definizione d’un amico.
Anche a Parigi, dove s’era trasferito dopo il diploma per proseguire gli studi e cercare un futuro migliore, Yoav sperimentava la ricchezza e la difficoltà di essere contemporaneamente “particolare e universale”: lui era infatti uno dei tanti studenti europei fuori sede, ma anche l’ebreo insultato in metropolitana e il nordafricano con problemi di visto e residenza.
E proprio in Europa misurava la distanza tra il sentimento che aveva accompagnato tutta la sua adolescenza tunisina, la nostalgia di un universo ricomposto, e la realtà di un mondo che sempre più ti costringe a schierarti.
Girato tra Tunisi, Parigi e Gerusalemme, il documentario ricostruisce la toccante vicenda umana di Yoav Hattab restituendola alla complessità che la cronaca delle stragi parigine ha cancellato.
È il racconto d’una insopportabile assenza, attraverso i ricordi più intimi degli amici e dei familiari, sullo sfondo di alcuni tra gli avvenimenti geopolitici più rilevanti di questo momento storico. E dietro a tutto questo, una domanda ricorrente: che cosa sta succedendo in Europa? La narrazione riporta costantemente Yoav e la sua energia di ventenne al centro della scena, attraverso i ricordi, le riflessioni e la commozione del padre, degli amici e dei fratelli, e avvalendosi di numerosi documenti originali: i video girati col telefonino in spiaggia, in casa o sui campi di calcetto; le foto di famiglia; le riflessioni che Yoav postava sui social media, i suoi messaggi whatsapp e vocali. La voce e il suo canto, così struggente.
Io sono Yoav verrà proiettato a Milano il prossimo 18 gennaio al cinema Anteo, alle ore 20.30, alla presenza del console francese e di rappresentanti dei partiti e delle istituzioni religiose. «Il presidente Milo Hasbani ha avuto l’idea di chiedere a Rai 3 il film per la Comunità ebraica di Milano – dice Gadi Schoenheit che ha organizzato la proiezione. – In Consiglio abbiamo discusso se proiettarlo a Scuola o in una sede esterna. Visto che nel 2016 cadono i 150 anni della Comunità milanese, abbiamo scelto di condividere questo momento con la cittadinanza, come evento di anteprima del Festival Jewish and the City (che si terrà in primavera).
All’Anteo avremo ospite anche il papà di Yoav, il rav di Tunisi Benjamin Hattab, che ha accettato il nostro invito alla serata, a pochi giorni dal primo anniversario dell’assassinio di suo figlio».